AGLIANA. Le sorelle Seghi ci avevano negato ogni colloquio di chiarimento, sia con la madre Giuseppina che con il figlio Gianmarco Meoni.
Così ci hanno costretto a fare una faticosa ricerca di informazioni passando (inutilmente) anche dall’avvocato che tutela il sacerdote della diocesi di Pistoia, quello che avrebbe – e qui la diffamazione – astutamente sottratto una somma di circa 700 euro alla devota parrocchiana, perfettamente lucida e intellettualmente normodotata.
Le due figlie chiedono toni pacati con il convincimento di “mirare precisamente al nocciolo della questione” e ancora – riportiamo pedissequamente – “…imparare il rispetto dell’altro, comprendendo di essere di fronte a una situazione alquanto delicata… pretendendo comunque chiarezza”: ma si sono chieste se loro concedono e offrono quello che chiedono al Sacerdote?
Le due sorelle chiedono chiarezza, ma non la offrono affatto: ci negano l’intervista e si dicono sorprese che noi abbiamo osato di telefonare alla loro abitazione.
Il solito caso di contraddizione tra il nobile predicato d’intento e il praticato, comunque inteso a proprio vantaggio esclusivo, magari per eludere chiarimenti scomodi.
Anche dal vescovado ci arriva notizia che sua eccellenza Tardelli avrebbe dato impulso a delle iniziative di tutela dei due prelati (non ci sarebbe solo un caso, essendoci anche un fatto analogo riferibile a don Alessio di Serravalle): due preti coinvolti in questioni incresciose, ma che in verità non sono affatto confermate.
La signora Giuseppina avrebbe avrebbe parlato a più persone della consegna volontaria spontanea e indipendente della somma di 250 euro; le figlie – per giustificare il caso mediatico esploso sulle dichiarazioni del nipote Gianmarco – avrebbero accusato la stampa cartacea di aver travisato l’intervista e mistificato la narrazione dei fatti.
Insomma un caso non chiaro articolato in due tempi: Giuseppina fa una donazione spontanea e il giornale cavalca delle dichiarazioni del nipote, montando un caso su un argomento tutto ancora da dimostrare, correttamente comprensibile e giustificato nella dinamica delle relazioni tra una fedele e il suo parroco.
A che rileva la richiesta della famiglia di “essere avvisata”? Se Giuseppina non è (e nemmeno sarà, sembra di capire, smentendo di fatto il nipote che parlava di una procedura giudiziale in corso) “interdetta giudizialmente”, e dispone di piene facoltà di intendere e volere, qual è la pretesa delle figlie di conoscere le libere donazioni della madre?
Le due donne, peraltro, hanno confermato che la “donazione” è tale e che non vogliono alcuna restituzione di una somma che sembrerebbe non ottenuta con l’astuzia e il raggiro.
Ma anche il collega, che ha lanciato lo scoop in febbraio su un giornale gossipparo, sembra metterci del suo con un titolo autoconcludente affermando che il parroco avrebbe fatto “un mese di lungo girovagare per poi capire la linea difensiva”(?) da adottare.
Il parroco esclude infatti di aver avuto notizia della vicenda, fino al suo rientro dalla visita alla casa paterna in India e, certamente, non ha mai “lungamente girovagato”, rivolgendosi subito a un professionista per la tutela legale del caso.
Il verbo “girovagare” è suggestivo e si addice bene a chi cercherebbe di correggere in ritardo un comportamento sbagliato, volendo poi ricomporre il quadro di eventi che lo vedrebbero responsabile di qualche malversazione: cosa che non sembra essere affatto nel caso di specie.
Lo chiarirà il processo penale al quale saremmo sicuramente ad assistere, vista la piega alla quale il sacerdote è stato costretto a ricorrere.
Il parroco non intende rilasciare ulteriori interviste a un rapido colloquio, avuto dopo la celebrazione domenicale. La questione è stata ben trattata in un incontro seguito tra i protagonisti con i rispettivi legali, mancando sul palcoscenico della vicenda il vero originario promotore della querelle: il nipote Gianmarco, estromesso da ogni ulteriore spiegazione e oggi muto.
Alessandro Romiti
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