PISTOIA. Nicola Vanacore, responsabile dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), non potrebbe essere più chiaro: “Se le attuali 2.502 strutture pubbliche e convenzionate per queste malattie fossero ben distribuite sul territorio l’Italia potrebbe rispondere in modo quasi soddisfacente alla domanda di assistenza delle centinaia di migliaia di pazienti e delle loro famiglie. Invece, in molte situazioni è mancata una regia, per cui ad aree sovraffollate corrispondono vuoti drammatici che emarginano i malati o li costringono a gravi disagi e spese”.
Ma si può davvero realizzare una rete razionale ed efficiente, oggi che la crisi economica ha falcidiato le risorse? La risposta è sì e lo stesso Vanacore spiega come si può fare, grazie al Piano Nazionale delle Demenze, nella relazione che ha presentato oggi a Pistoia al 7° congresso italiano sui Centri Diurni Alzheimer, organizzato per la parte scientifica dall’Università di Firenze con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.
Quale sia oggi il quadro della situazione, a fronte di 1,2 milioni di malati, è facilmente intuibile dalla mappa delle strutture per le demenze che l’Istituto Superiore di Sanità ha in questi giorni pubblicato on line (www.iss.it/demenze) e che Vanacore ricorda con dovizia di particolari.
In sé l’iniziativa è assai meritoria, giacché mette a disposizione del pubblico tutte le informazioni utili per ciascuna struttura. Ma la mappa porta allo scoperto anche problemi per nulla secondari. Ad esempio, per quanto riguarda i Centri Diurni Alzheimer (patologia che rappresenta il 60% di tutte le forme di demenza), le disparità tra nord e sud risaltano drammaticamente. Sul totale Italia di 578, la Lombardia ne ha 289, Calabria e Basilicata zero assoluto, la Campania appena 5, la Sardegna 6. Eppure si tratta di servizi di assistenza qualificata ormai essenziali. Né altrove si sta troppo meglio e anche i 33 della celebrata sanità toscana sono lontani dal coprire il fabbisogno.
Più equilibrata la rete dei 572 Cdcd, i Centri Studi Cognitivi e Demenze (ex Uva, Unità di Valutazione Alzheimer): ai 70 lombardi corrispondono i 24 toscani e i 35 calabri e, almeno dai numeri, non sembrano emergere grandi scompensi geografici. Il guaio è che, trovandosi quasi tutti nei capoluoghi, in particolare nelle città universitarie, lasciano scoperti interi territori. È il risultato di un deficit di regia quando anni fa le Regioni ebbero il compito di istituire i Cdcd.
Si cita a confronto il metodo francese: quando a Parigi hanno varato il Plan National Maladies Neuro-Dégénératives, carta geografica alla mano hanno messo le nuove strutture dove mancavano e potenziato quelle carenti, costruendo così una rete nazionale capillare. Un criterio che il nostro sistema sanitario regionale, essendo di natura federale, ha seguito solo in parte.
“Ma ormai abbiamo anche noi un piano nazionale analogo – ricorda Vanacore – è stato approvato un anno fa e le Regioni, titolari della sanità, hanno la piena possibilità di implementare e riequilibrare l’offerta di questi servizi. Del resto hanno collaborato al Piano e lo hanno approvato. Al momento sette l’hanno recepito: Toscana, Campania, Lazio, Marche, Liguria, Provincia Autonoma di Trento, Veneto. Delle altre si sta cercando di acquisire informazioni”.
Il Piano fornisce essenzialmente le linee guida strategiche: oltre a completare e potenziare la rete in tutti i suoi aspetti diagnostici, terapeutici e di sostegno, suggerisce in particolare di creare unità operative integrate, di informare le famiglie, di monitorare costantemente il fenomeno.
C’è che non pochi criticano la norma perché promette molto senza le risorse necessarie. “A queste proteste – replica Vanacore – rispondo che si può fare molto, anzi moltissimo, anche a costo zero. Ciò che dovrebbe essere potenziato è la regia e recepire significa anche essere disposti a cambiare. Mi pare che al fondo delle critiche ci sia solo un problema culturale, la paura del nuovo”.
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