ABETONE. È il 28 maggio 1940. Si disputa l’11a tappa del 28° Giro d’Italia: Firenze-Modena, 184 km con in mezzo le salite dell’Appennino pistoiese e modenese.
Qui si deciderà la vittoria di tappa e quella della Corsa rosa.
La guerra, già scoppiata in Europa è alle porte anche in Italia. È un giro autarchico in cui al via si presentano solo squadre e ciclisti nazionali.
Tra queste la Legnano di Gino Bartali di cui ne è l’indiscusso capitano. Tra le sue fila annovera, in veste di gregario, un giovane ancora misconosciuto: Fausto Coppi, assunto solo l’anno precedente e al suo primo da professionista.
Piove come Dio la manda e le strade della Montagna Pistoiese sono ridotte ad un pantano.
Sulla prima salita, quella de Le Piastre, va subito all’attacco Ezio Cecchi, “Lo scopino di Monsummano”, così chiamato per l’attività svolta dalla sua famiglia.
In montagna è forte e prova la grande fuga in solitario.
Si affronta il colle di Prunetta, poi La Lima, quindi l’impegnativa salita verso l’Abetone con i suoi tornanti: diciassette chilometri per un dislivello di quasi mille metri e pendenze che arrivano al 10%.
Nei pressi di Pianosinatico, nel tratto più duro, sotto un diluvio incessante il non ancora “Campionissimo” rompe gli indugi, scatta sui pedali e va all’inseguimento del fuggitivo Cecchi.
Va detto che Gino Bartali, suo caposquadra, non è in perfette condizioni fisiche.
Caduto durante la seconda tappa, ha accumulato un distacco importante e con oltre 15 minuti dalla maglia rosa Enrico Molo è virtualmente fuori corsa. Ma è comunque brillante, le asperità rappresentano il suo pane e su Le Piastre dà battaglia.
“Ginettaccio”, verrà scritto, è conscio del suo ritardo e sembra abbia avvallato il tentativo di fuga di Coppi, ma a Coppi, al debutto sulle strade del Giro d’Italia, va riconosciuto che in quei giorni andava fortissimo.
Inizia quindi qui, sulle montagne di Pistoia, uno dei più famosi dualismi sportivi, autentica linfa del ciclismo di tutti i tempi, che contraddistinguerà la carriera ed accrescerà la fama dei due grandi campioni.
All’Abetone il gregario di Bartali transita secondo, il distacco che lo separa dal fuggitivo è ormai colmato e ai bordi della strada tutti a domandarsi ma chi è?
Valicato il passo di Serra Bassa, inizia la discesa lungo la Regia Strada Modenese resa viscida e pericolosa dalle piogge incessanti ed oltremodo insidiosa.
Cecchi, provato dalla fuga precoce nulla può nei confronti della determinazione di Coppi, che già assapora il gusto della grande impresa.
Il monsummanese è raggiunto e superato di slancio, ma al traguardo mancano ancora 100 km e una salita, quella del Barigazzo. Cento chilometri da affrontare in solitario.
Dopo 5 ore e 35 minuti e 10 secondi, con ben 3 ore di fuga nelle gambe, Coppi arriva a Modena con 3 minuti e 45 secondi di vantaggio sul gruppo regolato da Olimpio Bizzi, che si impone in volata su Bartali, terzo.
Fausto Coppi coglie qui la sua prima importante vittoria, veste il rosa della maglia ed ipoteca il Giro d’Italia.
Alla tappa appenninica la Gazzetta dello Sport dedica interamente la prima pagina, esaltando l’impresa sportiva compiuta su un percorso estremamente difficile, titolando: “Una grande corsa e un grande campione. La matricola Coppi compie la più bella impresa del Giro e vince dopo 100 km di fuga la severa tappa appenninica Firenze-Modena, conquistando la maglia rosa”.
Nelle restanti nove tappe, la maglia di leader conquistata sulla Montagna Pistoiese rimarrà saldamente sulle spalle di Coppi e il 9 di giugno a Milano si aggiudicherà, appena ventenne, il suo primo Giro d’Italia diventandone anche il più giovane vincitore, ne vincerà altri quattro.
Il giorno successivo l’Italia entrerà in guerra e della Corsa rosa se ne riparlerà solo ad eventi bellici conclusi, nel 1946 con Bartali primo e Coppi secondo.
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