costituzione. POVERI QUEGLI ITALIANI CHE CREDONO CHE GLI ASINI POSSANO VOLARE!

Ma perché strapagare dei dipendenti pubblici che non operano per il bene comune?


Guàrdati dalle idi di marzo, fu detto a Cesare. Questa la tradizione. Lui, imperterrito, uscì di casa e se ne andò in senato dove, sotto la statua di Pompeo, ebbe la sua dose di pugnalate da parte di chi inneggiava alla repubblica come baluardo della legalità


BASTA COL MARCHESE DEL GRILLO

« IO SO’ IO E VOI NON SIETE UN… »


 

Per Linea Libera ecco, stamattina 15 marzo 2024, una potenziale ricorrenza delle Idi cesariane: non solo quelle di marzo, ma anche quelle De Marzo, il relatore della Cassazione che ha trattato le “quaestiones pistorienses”, ma che – se minimo minimo fosse stato davvero terzo, imparziale e indipendente – avrebbe dovuto alzare la mano e pronunciare la formula (cito un verbo di Dante) dell’io non mi sobbarco, ovvero evitare con cura di parlare di fatti di casa sua. De Marzo, a Pistoia c’era, infatti, di casa prima di sbarcare in Cassazione.

Ma una statua di Pompeo, sotto cui giustiziare un reo (me) accusato di voler infrangere la legge repubblicana, deve essere sempre eretta: è, infatti, il simbolo del rogo che spetta a chi, come Giordano Bruno, non intende piegarsi al potere non per superbia, ma per logico ragionamento che, in quanto tale, si traduce, ipso facto, in ragione.

Nel nostro stra-laudato Code Napoléon, leggo: (Disposizioni sulla legge in generale – art. 12 Interpretazione della legge) Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.

Non sono un professor Gustavo Zagrebelsky. Né un Sergio Mattarella, né un Sabino Cassese, né una Marta Cartabia, né un Giuliano Amato, né chi altro vi pare.

Ma, fortunatamente, non sono neppure un Tommaso Coletta, che, rispettando alla perfezione l’obbligatorietà dell’azione penale, non intercetta la sorella di Luca Turco; né un Claudio Curreli che tira l’acqua a due o tre o quattro o cinque mulini (lo Stato e tutto ciò che lo stato non è, disobbedendo alle sue leggi e facendo quel che gli pare, mentre dà lezioni di pace, scoutismo, arcobaleno e quel che gli fa comodo nella più assoluta non solo impunità, ma perfino aberrante assenso da parte del Consiglio Superiore della Magistratura: se è vero ciò che Maurizio Barbarisi ha scritto per ben due volte).

Sono, perciò, orgoglioso di non essere come loro, perché entrambi – in pieno accordo con gli altri “operai” della procura di Pistoia: tutto fuorché garanti della legalità – non mi permetto di frodare, giocando con le parole, né la Costituzione né le leggi della Repubblica: tanto che, più io di loro, ex art. 54 della Carta, rispetto il popolo sovrano operando con disciplina ed onore, nel mestiere di cittadino, che è quello di essere fedele alla Costituzione e alle leggi nel raccontare il malaffare perché anche i ciechi (o i perseguitati calpestati e oppressi dalla paura) aprano di nuovo gli occhi e si rendano conto di cosa sia certa “giustizia in maschera”, somministrata, come oggi si ama dire, «in nome del popolo italiano». Quale?

L’articolo 21 della Carta è assoluto: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».

E se leggo, secondo logica e ragionamento discernente, non posso che adoperare il metro stabilito dall’art. 12 delle Preleggi: «Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore».

Nessuna cosa è più chiara ed evidente di questa. È un rasoio di Occam che non può piacere a chi, della legge e dei suoi significati, “fa strame” come piace fare e dire in aula a Curreli, primo stramatore della legge stessa con le sue interpretazioni aberranti, s-terze e parziali; con le sue violazioni dell’art. 358 cpp; con le sue indecenti licenze del «fo-quel-che-mi-pare-che-tanto-resto-impunito» a Pistoia, a Roma e a Genova.

È per questo che, se un giornale on line è, di diritto, equiparato a organo di stampa, e se la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, la famelica fame di giustizia della Procura di Pistoia non solo non può, ma proprio perché non può, non deve né castrare la libertà del cittadino in nome di norme solarmente incostituzionali (Leggi 47/1948 e 69/63), né forzare la mano di colleghi perché decidano come certo potere deviato pretende e vuole, facendo di tutto per dominare.

Ministro, a Pistoia di ispettori ce ne vuole un battaglione e mezzo!

Il secondo Tribunale del Riesame di Pistoia, a guida Alessandro Buzzegoli, dovrà, perciò, pensare bene a come valutare, in queste Idi De Marzo 2024, la questione sequestro di un’entità che è tutelata – espressamente e più di qualsiasi altra professione: o dimostrate il contrario – da un «senso… fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore».

Capisco, forse, poco e molto meno di certi “giganti” del diritto e della legalità. Ma è certo che chiudere Linea Libera è, senza dubbio, come un assassinare Cesare fingendo di farlo per affermare i valori repubblicani di Pompeo.

Oggi auguro al Riesame di non commettere l’errore di dare ragione agli oppressori vestiti da liberal-democratici.

Nel ricordare che, dopo le Idi De Marzo, la storia impone necessariamente a tutti di rivedersi a Filippi. Chi non è un quadrupede non-volante capirà meglio la battuta.

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]


Ma in procura hanno indagato o no sulle chiacchiere dei presidenti
Bartoli e Marchini?


Print Friendly, PDF & Email