PISTOIESI, ORA ALL’HITACHI
INVIATE I VOSTRI BACI.
E LO FACCIA PUR L’INDOTTO
AL DIVINO MANFELLOTTO!
Accidenti alla ferrovia
e all’ingegnere che la disegnò,
avevo il damo e me lo portò via,
chissà quando lo rivedrò…
[Vecchia storia popolare]
IERI SERA, dopo aver visto che Conte era sul pulpito a reti unificate e non solo sulla Rai/donne-e-guai, ma anche sugli editori italiani di Mediaset, quelli che aiutano l’Italia a riprendersi dal baratro, il primo pensiero è stato quello di suicidarmi: che differenza c’è fra lui e Nicolás Maduro, distinto signore politico e sindacalista venezuelano che fa come vuole e come crede? Nessuna tranne la lingua: Conte parla un italiano meridionale forbito e composto; l’altro uno spagnolo aromatizzato al petrolio e alla tirannide. Il regime è lo stesso, appunto.
Insopportabile Conte, insofferibile Maduro: stromenti | diversi | sotto innumerevoli dita, tanto per citare il D’Annunzio. E per questo mi sono dedicato al riepilogo di una vicenda che viene affrontata solo occasionalmente dai mezzi d’informazione pistoiesi, che preferiscono le sagre delle salsicce e la rosticciana o la fettunta.
E quando accade che ne parlino (proprio perché non possono farne a meno), la materia è trattata con tutto il supporto dell’ovvietà più vieta e della piaggeria adatta a un sistema marcio in cui – come nel medioevo – chi ha i quattrini e le terre, ha sempre ragione, e chi non li ha, sempre torto. Per questo chi si allea con la parte più forte, finisce con il camminare agevolmente sui crani di chi appartiene alla parte più debole, e attraversa il “merdaio degli irosi”, che in Dante contiene pure Filippo Argenti, senza sporcarsi non dico la tomaia, ma neppure la suola delle scarpe.
Checché se ne dica o checché ne rappresenti il signor Maurizio Manfellotto (Mimì), quella sorta di «impero del Sol Levante», che è (o vorrebbe far credere di essere) la Hitachi Rail di Pistoia, pur avendo ripreso il lavoro osannata e lambita dalla stampa organica locale (Local Organic Press o Lop), non si muove poi così aristocraticamente da gran signora come vorrebbe far credere.
C’è una grande ambiguità di fondo, anche in Hitachi, come in tutte le cose che hanno una doppia natura. Cristo, dicono, era Uomo e Dio (e ci togliamo tanto di cappello); ma se, come in questo caso, la duplice essenza è un «pezzo di samurai» guidato da un «cervello italiota», il risultato – siamo liberi di pensare o verremo arrestati? – non può che essere una sorta di aberrazione simile ai Dpcm di Conte: il tutto nel niente e il niente nel tutto, dato che la direzione è quella che conta.
E questa direzione, più che legata confusa (cioè fusa insieme) con la confusissima politica italiana, non può che essere una sorta di certificato disastro. «La mela non cade mai lontano dall’albero» e il cervello italico non dirazza: anzi, sarebbe innaturale che Mimì pensasse, diversamente da certi suoi miti leopoldici, con strutture mentali di tipo-banzai. C’è ancora da trovarlo, in Italia, chi, per aver commesso un errore, decide di riabilitarsi facendo harakiri: o altrimenti il Pd sarebbe già felicemente scomparso dalla faccia della terra, lasciandoci respirare in pace.
Nonostante l’apparenza, Conte e l’Hitachi Rail Pistoia non sono due cose differenti, diverse, incompatibili: entrambe queste entità fluitano – come quello stronzo del Covid-19 – nell’aria della pandem[ment]ìa. E come un Coronavirus si comportano, costantemente adattandosi e modificandosi dal punto di vista genetico, di volta in volta, con l’intento di autoriprodursi e garantirsi vantaggi e prebende da autoconservazione evoluzionistica.
Il lavoro in Hitachi Pistoia è “ripartito” e la Local Organic Press di regime è, più o meno, corsa a sentire le opinioni ufficiali degli armigeri (i sindacati o, almeno, certi sindacati) che “certificano” l’idillio fra capi & code in un clima falso e falsificante di “ce la faremo” (senz’altro a sbattere contro gli scogli).
La storia – che nessuno, o quasi, conosce e capisce – insegna che, se vuoi sapere come è un regno, non vai a parlare con il primo ministro, ma devi rivolgerti all’ultimo diseredato, che è costretto a dormire in uno scatolone di cartone, come i giovani milanesi licenziati per le chiusure di bar e ristoranti, che li hanno messi sul lastrico costringendoli a vivere «accartonati» per le strade.
Giulio Regeni, che piace tanto ai politicamente corretti, non andava a fare domande a chi era d’accordo con il potere in Egitto: o altrimenti non gli sarebbe toccato quello che gli è successo. È chiaro?
In altri termini, se vuoi sapere cosa è realmente la chiesa cattolica apostolica romana, non intervisti l’elemosiniere del papa e neppure il cardinale Zuppi: perché al massimo potranno mandare un assegno da 20mila euro a don Massimo Biancalani, che i migranti li fa accampare in chiesa e in condizioni precarie, dato che la sua istituzione-madre sanpietrina schianta di proprietà immobiliari che, tuttavia, restano vuote e non danno ricovero nemmeno a un italiano con famiglia e figli, ma senza lavoro.
L’Hitachi di Mimì non può fare eccezione a questa regola. Se vuoi davvero capire come non sia quella che viene presentata & descritta per come viene descritta & presentata, guai se intervisti gli “organici” che, dallo “scodìnzolo di assenso al potere” ottengono, necessariamente, una lisciata sul capo e una promozione sul campo, con conseguente osso/vantaggio economico (per piccolo che possa essere).
L’Italia è nata dalla resistenza e poggia sui lavoratori? Eccome! Solo che la resistenza non è la lotta per i diritti, ma quella al non voler resistere e al non voler lottare, giorno dopo giorno, contro l’arroganza del potere padronale che sceglie, fa e dà, se chi lavora usa l’islamico tappetino da preghiera per il bacio della pantofola.
«Chi non bacia il piede, di rispetto non ne vede»: nuovo proverbio or ora coniato. Un rispetto fasullo come l’oro di Bologna che a guardarlo si vergogna; un sentimento che somiglia assai al contenuto di una famosa lirica metastasiana del Sommo Proeta del Vernacoliere. La leggete qua a fianco ed è un capolavoro di sàtira, altro che Charlie Hebdo!
L’Hitachi Rail Pistoia non è il regno di Bengodi e il rientro in produzione non è stato – come si è voluto far credere – un successo senza ombre.
Ora, è normale che non tutti i partecipanti alla mensa del padre (= i sindacati) siano unanimemente d’accordo con l’azienda sulle sue scelte: non sembra normale, però, il fatto che qualche sindacato sia chiaramente estraniato ed epurato; altri lo siano solo a metà, altri ancora (e occorrerebbe vedere certe posizioni di lavoro) siano organicamente imparentati con l’assetto aziendale.
Qui non ci siamo più, cara la mia gente: perché il rapporto è rovesciato fino al punto che la tutela del lavoratore non trasmette il moto dalla classe lavoratrice all’azienda, ma dall’azienda alla classe lavoratrice. Se la benzina uscisse dai cilindri e andasse al serbatoio, secondo voi un’automobile potrebbe camminare?
Cerco di spiegarmi meglio con alcuni esempi. Da quanto si sa, la riapertura con il piano anti-Covid è stata orchestrata e suonata con la firma della delegata della Uil insieme ai cinque delegati della Cisl, ma a un solo delegato (ne conta quattro) della Fiom-Cgil. Contrari i due delegati della Ugl – ma di loro nessuno tiene conto.
Qualcuno dice che le proposte più interessanti e serie erano venute proprio dall’Ugl; proposte che, però, sono state quasi aprioristicamente respinte da Mimì: fra l’altro l’Ugl (anche se nessuno ne parla: nemmeno i giornali di sinistra e civicamente impegnati) sembra essere palesemente discriminata dalla direzione aziendale – ma è meglio non vederlo – con provvedimenti disciplinari e perfino con un licenziamento in tronco.
E allora l’idea più immediata che si ha dell’Hitachi Rail Pistoia, a ben osservare la situazione dall’esterno, non può che essere quella di un rapporto privilegiato fra Fim-Cisl e direzione. Ma se così è, qualcosa non va nel necessario equilibrio della dialettica democratica che dovrebbe regolare la vita della piramide (speriamo non massonica) dell’azienda, garantendo non tutto solo a pochi, ma un po’ di tutto a tutti.
Ci sono aspetti che nessuno ha preso in considerazione nell’euforia del rientro presentato come buon successo. Èccone alcuni su cui riflettere:
1. la condizione dei lavoratori già esposti all’amianto, che avrebbero dovuto essere destinati, più prudentemente, a turni in aree dello stabilimento meno problematiche quanto a sicurezza.
Ma la direzione ha risposto con un semplice chissenefrega2. i superpoteri delegati al medico di azienda: decidere, senza appello, chi poteva rientrare al lavoro e chi no, a prescindere dalle condizioni oggettive del lavoratore interessato
3. il non prendere in considerazione i problemi di stress per chi abita molto lontano dalla fabbrica. Non era il caso di facilitare certi turni di lavoro? Ma la risposta è stata «no»
4. le condizioni schiavili delle ditte esterne, che costituiscono il 60% della forza-lavoro: con turni non di 8 ore, ma anche di 10-11 ore al giorno, sabato compreso. Tutti lavoratori non hanno, spesso, nessun supporto di strumenti di sicurezza da parte dei loro datori di lavoro
5. il non aver preso neppure in esame l’idea della sanificazione all’ozono con appositi robottini, metodo particolarmente efficiente e sicuro contro il Covid e non solo
Mi fermo qui, ancora stupefatto di certi silenzi, sindacali e dell’informazione, che tengono il coperchio di una pentola a pressione chiamata Pistoia. Una città che sembra innocua ma che, senza dubbio, potrebbe essere più nociva di quanto si possa immaginare. Nella «città dei panài» nessuno deve mettere il naso – e si vede.
Una sola cosa, amici cari, per finire. Se dovesse succedermi qualcosa, pensate a me. Molto probabilmente non sarà stato un caso…
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Diritto di Amleto: dinanzi al marcio un po’ mi inquieto
Non si capisce bene se sia stato peggiore il «ventennio che fu» o il «duennio che è» di un Conte che avanza nell’ermetico silenzio agghiacciante del non-presidente Mattarella.