NON C’È GRANDUDUCA CHE IL PODER NON TENGA:
IL ROSSI L’HA TENUTO E AI TOSCHI IL MENGA!
UN LETTORE, Riccardo C., mi invia l’articolo di cui vedete l’immagine (si trova sull’Informatore Coop di aprile 2020). Fa domande. Chiede lumi e aggiunge un commento: «Nuova versione del famoso paradosso: “Tutti i giornalisti toscani sono bugiardi”».
Lo fa per provocare? Non credo. Sono, piuttosto, convinto che stia dicendo una sacrosanta verità… parziale, «secundum id quod plerumque accidit», come avviene nella maggior parte dei casi.
Qualcuno salterà su, indiavolato, sostenendo che non si può fare d’ogni erba un fascio, senza aver capito (l’arte del capire è difficile come cadere dalla torre di Pisa senza sbucciarsi le manine) che in una frase evidentemente “sentenziosa”, tutti non significa affatto tutti, ma una gran parte, la maggior parte, la massima parte, uno stonfo o (a Porretta e nell’Emilia di Bonaccini) uno squasso (grazie, Rita!).
Portate questa frase in tribunale e – con una qual certa probabilità – potreste trovare un giudice che vi condanna per aver espresso un concetto offensivo in quanto riferito, indiscriminatamente, a una totalità di individui. Anche loro sono buoni: molto buoni, sì. A fare, molto spesso, casino. Un gran casino. Come del resto… tutti noi.
Nel mondo dei tribunali, infatti, ci troviamo spesso dinanzi a dei «geni della filologia» (con, però, cromosomi linguistici degenerati e malfunzionanti). E poiché i testi si interpretano, secondo le Preleggi del Codice Civile, nel valore letterale delle parole nella loro disposizione, allora quel tutti deve per forza voler dire tutti e basta: come la Merkel quando canta über alles, quel tutto lì, insomma. Tutti i popoli di tutta la terra, sotto la Germania.
Salvo poi – come è successo a me personalmente – che un giudice, buono bravo grande e giusto, di sesso femmineo, molto ideologizzato, nello stendere la motivazione della sua mente divina per una causa di lavoro, mi mandò a quel paese arrogandosi il diritto di dedurre (ovviamente violentando i termini perentori dei 90 giorni di legge rispettati!) che la domanda inoltrata al tribunale era stata una semplice furberia di avvocati; e che, pertanto, la mia richiesta era strumentale (inorridite!) «in quanto presentata all’87° giorno»: un ritardo che, nella sua mentolina (o mente divina), non poteva che significare un mio reale disinteresse nei confronti della richiesta stessa. Però lei era grande e brava, era di magistratura democratica (meglio di così), ha fatto carriera e ancora può starnazzare, come vuole e crede, a prescindere dal valore delle parole e delle norme.
Il potere, caro Riccardo provocatore, è potere. Se poi diventa PoDere e vive e regna dal 1945 ad oggi in Toscana, immàginati quanta morchia nera si porta dietro coprendola con la bandiera rossa e l’esaltazione della correttezza, della trasparenza e della legalità! Il motto della rivoluzione francese andrebbe così riscritto: Liberté, Égalité, FregaliTÉ.
Ha voglia, la Fiorenza Biagini di Casalgrillo, a strillare che io sono fazioso! Lo sono se ed in quanto vedo e racconto le cose a prescindere. Perché – sia chiaro e l’ho già scritto – se la destra stesse al potere quanto il PoDere della Fiorenza, chi si salverebbe da altrettanta morchia nera in circolazione? E sicuramente anche tutti quelli che oggi si dicono democratici, farebbero come Di Maio e il Pd spinti da Renzi: farebbero il governo infinito, senza più elezioni e senza libertà costituzionali, di cui – bada bene – dovrebbe essere garante (ci credi?) quel non-presidente dormiente di Mattarella. Più o meno quello che sta succedendo con il Covid-19.
«Tutti i giornalisti toscani sono bugiardi»: sì o no? Al tuo paradosso rispondo con un mio paradosso: la famosa esclamazione con cui in Emilia Romagna si gridava dietro a Mussolini quando teneva un discorso: «zurnalesta!», cioè giornalista (nel senso di ciaccione burgiardo screditato e screditabile).
Difficile dire che non ce ne siano parecchissimi di questo tipo: vedi per esempio chi, nell’Informatore Coop, ha pubblicato un’intervista, morta ancor prima di nascere, con un mese di ritardo e «tromboviolinando», come scrivo sempre io, le lodi e la gloria del potere/PoDere. Un’intervista incensante in mezzo a un macello dilagante, è una diarrea alluvionante. E siamo in un giornaletto su cui non vuole dormire neppure il tuo gatto perché – come mi hai hai scritto una volta – «ci si sente a disagio» (quando si dice il… sesto senso degli animali!).
Ma esempi di leccaculismo senza limitismo li trovi anche, e abbondanti, altrove. Per esempio in chi (come Il Cittadino-Pescia) pubblica, come proprio, un comunicato/tromboviolinata dell’ufficio stampa dell’Asl, cambiando solo qualche parola; o addirittura La Nazione che ieri ha passato, come di redazione, la propaganda sanitario-politica della signora Daniela Ponticelli.
Eppure, se fai una segnalazione alle commissioni di disciplina dei giornalisti, questi «zurnalesti» qua (cioè: gli allineati, gli organici, i giunchi flessibili) non puoi toccarli o ti succede come quando sgusci una frugiata pigliandola ingordamente dalla padella sul fuoco: ti bruci la punta delle dita.
Detto questo, caro Riccardo, ora puoi risponderti da te: i giornalisti (tolgo tutti e tolgo toscani) sono o non sono bugiardi?
Se usciamo indenni dalla pandemia, se ne riparla a fondo. Prometto.
Edoardo Bianchini
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La prima arte che devono imparare quelli che aspirano al potere è di essere capaci di sopportare l’odio [Seneca]: non è così. Ti querelano sùbito e tanto più quanto più dici il vero su di loro [da: La verità ai tempi del Coronavirus e non solo].