crociate. TERRA APERTA E GIUSTIZIA, FINO DAI TEMPI DI DANTE PISTOJA HA CIÒ CHE SI MERITA


Con una procura della repubblica come quella di Coletta, che lavora per la gente comune, è impossibile che l’Italia non raggiunga il culmine della felicità, della legalità e del benessere


In Germania Curreli, con ciò che ha combinato in vita sua, se non fosse già stato licenziato sarebbe a portar carte fra un ufficio e l’altro in Alta Baviera. Ma nell’Italia di Palamara gode di alte protezioni. Ce lo ha messo nero su bianco anche Barbarisi: e per ben due volte

IL POPOLO SOVRANO LAVORA, SUDA E CREDE:

MA A DAR FIDUCIA A CERTI GLI CI VUOL PIÙ CHE FEDE


Se quello che ci dice Maurizio Barbarisi non è una frottola, come può, Curreli, imporre agli altri una condotta sana quando la sua è antilegge?

 

Le mura di Pistoia, titolo di una raccolta poetica di Piero Bigongiari, non sono mai state bastanti a contenerne le vergogne e a limitarne i danni.

Sfacciatamente sbrindellate da ogni parte; disfatte, cadenti, malmesse, le mura racchiudono una varia umanità (e non intendo quella popolare, ma quella paradossalmente borghese, che v’impèra) che ha saputo essere sempre bastiana contraria alla limpidezza e alla trasparenza nel solo nome del quattrino.

Non vo lontano: mi basta partire dal 900 di Bertolucci per illustrare la “nobiltà del loco”. Al Medioevo ci pensò Dante col ladro in cattedrale, ma nel secolo scorso, questa grande città di danarosi pagliacci senza faccia, ha saputo essere onorevolissimamente qualunquista, poi fascista, poi comunista, poi tuttista e nientista al tempo stesso. Bastava lucrare.

Questa analisi pistojese, che resterà sul gozzo ai locali “piri doc globarini”, gonfi di sé come un coglione orchitico cronico, nasce da una mezza paginata di ieri – 12 ottobre: scoperta non dell’America ma di Pistoja – prodotta dal Tirreno, tamburino sardo della pistojesaggine (vedi frociaggine di Bergoglio), che esalta la serietà dei nostri giudici naturali e in specie il plurimpegnato don Claudio Curreli, stavolta lanciato come la locomotiva di Guccini, a tutto vapore, contro alcune delle sue ossessioni missionarie ritenute basilari per la corretta giustizia italiana. Claudio deve salvare il mondo.

Se un pistojese vede arrivare un magistrato, inizia a grattarsi da almeno quattro miglia di distanza. Lo sa che i magistrati sono pericolosi e che occorre starne alla larga. Tutti i pistojesi lo fanno. Da sempre. Perché il pistojese, che è animale gregario e, perciò, punto coraggioso, ha da restare fluido come il sesso che va oggi di moda: per potersi, ovviamente, adattare attillabile il più possibile alle forme di ciò che va di moda. Intendo l’adattamento a qualsiasi costo.

Curreli è ritenuto, nella patria dei ladri in cattedrale, un tosto, un duro, un inflessibile. Lo dice sempre anche quel testa-di-segatura dell’assessore Ciottoli di Agliana.

Barbarisi: «A Roma sanno tutto, ma nessuno dice niente». Dunque: Roma è mafia capitale? Ma che razza di giustizia è questa, in cui a inquisirti è uno che dovrebbe essere inquisito prima di te?

In realtà Curreli (e ormai è acclarato da ben due documenti ufficiali di un presidente di tribunale alquanto insulso quale Maurizio Barbarisi) è soltanto un raccomandato di ferro che non prova vergogna alcuna né a restare a Pistoia con la moglie, contravvenendo alle norme e alle leggi del suo stato (da lui nei fatti spregiato in molti modi) e del suo stato giuridico in particolare; né a offendere la Costituzione che gli imporrebbe l’obbligo di esercitare il suo ufficio «con disciplina ed onore» (art. 54). E soprattutto senza fare politica, come fa quotidianamente, andando contro le leggi dello stato che lo mantiene con l’assegno mensile pur se infrange gli obblighi del magistrato violante le leggi patrie.

Non è questo il magistrato che il popolo sovrano è tenuto a rispettare. Il vero magistrato, degno di tal nome, non si comporta come Curreli.

L’unica sacralità che Curreli conosce e riconosce è il suo personale punto di vista. Ed è per questo che costui diventa anche un simbolo vivente della pistojesaggine ruffiana e appecorata che si fa duttile e malleabile per procurarsi qualsiasi merito attraverso una puzzolente acquiescenza al potere senza regole.

Ossessionato dal comando; pericolosamente squilibrato nella in-terzietà e in-imparzialità, fino al punto di far condannare un religioso nascondendo un fascicolo grazie al quale la Cassazione ribaltò le tesi forzatamente colpevoliste del brillante capo-scout; intimamente perseguitato da una irrefrenabile spinta a plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza, non di rado in maniera errata, approssimata e forzata da indagini ad mentulam canis: don Curreli è forte coi deboli e debole coi forti.

Claudio si mette sugli attenti dinanzi ai vertici dell’Hitachi (finendo con lo scornarsi indecorosamente su questioni di putida sindacalità), ma trascina il resto del suo lavoro alle calende greche: un lavoro che fa poi svolgere, con tutte le conseguenze del caso, dai suoi fedeli e scodinzolosi Vpo che, comunque, godono delle sue amorevoli cure perché giungono in aula a minacciare i giudici con le pressioni dei desiderata del salvatore delle prostitute nere sulle rotonde di Agliana. È storia, questa. Non diffamazione, cari lettori!

Ecco. Dinanzi a paradossi di questo genere, mi chiedo – da individuo razionale e lettore di Aristotele anche in lingua originale – come sia possibile che il tutto possa andare avanti senza alcun contraccolpo né a livello di Roma (ladrona e corrotta) né a livello di Genova (connivente, protezionistica e indegna).

Ne trovo, però, subito una ragione plausibile, se penso che questo difensore della legge (quella che pare a lui, la lex currèlica) è legittimato e sorretto da un Pm, Tommaso Coletta, che – ormai lo sapete a memoria tutti quanti – non intercetta la sorella del Pm aggiunto di Firenze Luca Turco, la Lucia Turco, fra l’altro cugina di Cecilia Turco presidente dell’ordine (?) degli avvocati pistojesi.

 

 

Il giudice naturale? Parliamo, invece di tiranno, di duce, di dittatore naturale: è meglio.

Non basta dividere le carriere e non serve a nulla farlo e chiudere lì. Almeno finché tutti faranno parte attiva e comprensiva di questo marasma inverecondo di “giustizia”, in cui finiscono i delinquenti come me che sto scrivendo.

Delinquenti solo perché pensano con la loro testa e non si inchinano a queste serie infinite di falsi profeti!

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.info]
© LineaLibera Periodico di Area Metropolitana


Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento