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PISTIOIA. Vedo che nei prossimi giorni il Pd locale organizza una serata con vari soggetti tra cui i sindaci di Pistoia e Prato, il buon Pileggi e la meteora montiana Barca. L’incontro, sull’Europa delle città e le nuove sfide per i comuni, per chi conosce un po’ quel mondo, non è altro che la solita liturgia di routine per passare in rassegna le truppe dei propri elettori e perfezionare gli equilibri interni tra correnti del Pd, che ormai è soltanto un’appendice del suo leader-cantastorie. Da queste serate infatti, lo sanno anche i bambini, escono tanti bei discorsi che al limite servono agli organizzatori per dire «guarda come siamo bravi, tutto questo ci fa curriculum».
Siccome invece un bel dibattito sulle scelte del passato non si è mai fatto, e visto che se si vuole andare avanti dobbiamo come minimo sapere da dove veniamo e magari far tesoro degli errori passati, lo propongo io, alla Geri, fiducioso di tornarci sopra con più precisione, un bell’argomento su cui attendo interventi e discussioni.
Mi riferisco alle scelte urbanistiche e agli investimenti “strategici” del passato, che dovrebbero costituire il cuore della riflessione politica. Generalmente questo era il meccanismo: qualcuno si svegliava all’improvviso e sparava una bufala; tutte le altre categorie ed enti salivano poi sul carro, tifando a prescindere, senza sapere di che si parlasse, senza approfondire. Comunicati, trombe e tamburi: poi o si faceva un danno (guardate come hanno ridotto la sanità, lo ha riconosciuto pure Paolo Bruni) oppure tutto tornava nel dimenticatoio. Così è successo per esempio con il ponte di Calatrava o con la Repower.
Non scherzo, il ponte del noto archistar, progettista di simili strutture di collegamento tra cui quelli strallati di Reggio Emilia per il superamento dell’autostrada, fu pensato anche qui, fuori da ogni raziocinio e senza che nessuno facesse presente la conclamata idiozia o avesse avanzato perplessità. Anzi, la solita Fondazione si spese in presentazioni e brochures!
Poi venne la sbornia per Cervellati, quando ormai le amministrazioni di sinistra erano già diventate finanz-capitaliste (ricordate Fassino, al telefono, “abbiamo una banca”, o le vicende del Mps, la lobby toscana del partito?) con la sciocca speranza che i dirigenti politici, e giù fino all’ultimo cameriere, potessero avere qualche personale briciola dalla torta del neoliberismo, tanto disprezzato a parole durante feste e adunate tra compagni quanto accettato in privato e nella prassi amministrativa.
Ho conosciuto Pierluigi Cervellati, e i veri esperti del settore, che non si vogliono esporre, mi dicevano che il suo piano era un libro dei sogni. Conteneva e contiene tutto ed il contrario di tutto, ma di fatto, e lo vediamo oggi, non ha prodotto niente di originale o di utile per la qualità della vita di Pistoia. Del resto Cervellati non conosceva né le dinamiche economiche locali né aveva a cuore particolari obiettivi; ai politici dell’epoca bastava solo dire di avere uno strumento urbanistico firmato da lui per sentirsi toghi, e pazienza se furono fumati centinaia e centinaia di migliaia di euro.
Se ci pensiamo bene la crisi dell’Italia l’hanno fatta anche tutti quei comuni che sapevano solo spendere e spendere, senza che i dirigenti arginassero i danni, senza occuparsi delle utilità vere ma presi dall’abbaglio di legare il loro nome alle cosiddette grandi opere. Senza ovviamente saper leggere il mercato ma convinti che il mercato si adattasse ai loro desideri: l’area ex Breda (facciamo gli scongiuri), su cui non intendo infierire, è solo uno dei tanti abbagli. In fin dei conti è giusto che gli enti locali abbiano i rubinetti chiusi: è l’unico modo perché non continuino a fare danni irreversibili.
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Prima di questa retorica su Europa e sfide dei comuni, una retorica ormai in ritardo di vent’anni e imbarazzante anche per gli stessi elettori creduloni, sarebbe il caso di una sana autocritica, giacché forse è davvero tardi per recuperare il tempo perduto. Nel passato alcune forze politiche, parlo per i Verdi, avanzarono sollecitazioni che guardavano lontano, alle innovazioni e ad una dimensione europea delle città, ma vennero puntualmente boicottate dai vari masterchef afferenti all’odierno Pd. Fatto sta che tra vecchi e nuovi, giovani e vecchi nessuno di quanti oggi gonfiano il petto e la bocca ha avuto l’onestà intellettuale di riconoscere gli errori di anni e anni di immobilismo (nella migliore ipotesi) e irreversibili castronerie.
E allora io dovrei stare a sentire questi discorsi quando poi il comune di Pistoia (rigorosamente espressione del Pd) non ha mai chiesto alla Fondazione un contributo per destinare qualche soldo al Pantheon del Parterre di Piazza San Francesco ma gli ha invece permesso di creare una tamarrata di giardino in via degli Armeni?
Faccio presente, al di là degli annunci, slogan e tweet in cui si riassume la politica dei democratici, che per il Parterre basterebbero circa 40mila euro e sarebbero un vero investimento, visto che la Banda Borgognoni è un organismo vivo che anima le piazza e richiama sistematicamente i pistoiesi; nel giardino delle belle statuine sono stati fumati 890mila euro.
Siamo pur tuttavia il paese dove mister Bean viene messo a capo del governo e sorridente si tira i gavettoni d’acqua fredda, seguito a ruota dagli emuli nostrani; nessuno scandalo quindi se Schettino viene chiamato all’Università o se a Pistoia delle cose su esposte e su cui invito ad una seria analisi politica, nessuno ritiene opportuno dibattere…
[*] – Cittadino del mondo, ospite
L’AMORE AI TEMPI DI CALATRAVA
Piove, governo ladro. Una volta si diceva così. Oggi, evidentemente, siccome il Cavaliere non è più un ladro, non piove più. Meglio quando pioveva. Dunque è stata colpa di Di Pietro, che ha scatenato tangentopoli, ha mandato indirettamente al potere il Cavaliere, e ci ha messo tutti alla sete. Né sono bastate le avvedute indicazioni di Giovanni Paolo II a far tornare la normalità («pregate perché Dio faccia piovere» – successe anche questo!): il Padreterno fu sordo (ma forse perché il Bardelli di Tvl quella volta non prese la croce in braccio e non iniziò una processione da lazzeretto manzoniano). Anche la chiesa ha le sue defezioni (specie se chi predica dai pulpiti ha, magari, pozzi privati e aria condizionata).
Ma gli amministratori di Pistoia, che diavolo fecero? Assetarono la gente, perché avevano il bacino di Gello e, per una cazzata sull’argine, lo lasciarono lasciato andare a male. In compenso il “sindaco bello” pensò alle offerte universitarie da 50mila euro… non ve la ricordate la storia del Berti, eh?
Non sarà mica che Padreterno e amministratori ci son sempre andati tutti in culo facendosi i cosiddetti “cazzi propri”? O non era meglio quando la Dc rubava, i governi erano ladri e — almeno — il cielo faceva piovere senza scomodare Dio e i Santi?
Ai pistoiesi gli sta comunque bene. Non capiscono una mazza di per sé e credono d’essere dei geni. Mandavano a Roma un Chiti in versione supplenza-estiva («quando D’Alema è in barca parlo io») che si spremeva le meningi su tutto con lo stesso sforzo d’un Rutelli (uguale: faceva cascare il pan di mano). Mazza, oh! Che civiltà quella pistoiese! E in mano a un progressista che, rispettoso della forma e della legge, non vuole la riforma del Senato, ma più per sé che per la Costituzione.
Quella di Calatrava fu un’estate tragica, per chi se la ricorda. Ma con uomini come avevano, i pistoiesi potevano stare proprio freschi e al fresco.
Pensavano ai ponti di Calatrava: loro ci avrebbero messo il culo e gli amministratori la (4 lettere: f x x a)!
“Tamarrata”? Decisamente un eufemismo…
Per il resto, complimenti per l’analisi lucida e disincantata.