PRATO. Del loro Cd, Waiting for something special, ve ne avevamo già parlato, ad una delle prime uscite, a Cascina, prima che arrivasse Caronte. Da allora, il Danny Bronzini trio, si era dovuto per forza di cose fermare un attimo, ma solo per consentire al bandleader, l’enfant prodige, di portare a termine, trionfalmente, la tournée che lo ha visto impegnato, in parecchi stadi italiani, sul palco con Jovanotti.
Ieri sera, 3 agosto, nella Corte Sculture Lazzerini, in uno degli appuntamenti dei concerti del lunedì, branca della rassegna Prato estate 2015, organizzato dal Comune e dall’assessorato alla cultura omonimi, Danny Bronzini, il manto da supereroe, armamento scenico indispensabile nelle esibizioni con Lorenzo Cherubini, non lo indossava. La chitarra sì, però, probabilmente anche la stessa ed è con quella che il ragazzo – non è un modo di dire, è del 1995, ha solo venti anni – inizia a fare parecchio male.
Certo, la galattica e appena conclusa esperienza estiva con uno dei massimi rappresentanti del poprock italiano, altro non avrà fatto che consegnargli ulteriore dimestichezza scenica, padronanza e nuove informazioni musicali e strumentali, visto chi sono i suoi colleghi di palco, ma lui è oggettivamente un giovanissimo portento, con un tocco antico e profondo della propria sei corde e una voce, calda e sicura, che non sembra appartenergli controllando la carta d’identità.
Il resto, che è tutto ciò che ci vuole per mettere in luce un fuoriclasse come lui, lo hanno fatto i suoi due vecchi colleghi: Davide Malito Lenti alla batteria e Carlo Romagnoli al basso, due sessionisti – e amici veri – con i quali ci interfacciamo da oltre venti anni ogni qualvolta la loro professione li porta ad esibirsi nei paraggi.
“È stata una gran bella cosa, molto faticosa, ma davvero importante, questa tournée – ci ha detto Danny Bronzini, riferendosi al tour con Jovanotti, poco prima di esibirsi, mentre con Davide e Carlo erano intenti a divorare chili di frutta fresca –. Un ambiente veramente ideale, dove non serpeggia divismo e dove sono stato accolto con tutto il calore e l’affetto dei quali non avrei potuto fare a meno. Il colpo d’occhio con il pubblico, negli stadi pieni fino all’inverosimile, è la cosa più incredibile; poi, superata la naturale emozione inziale, si inizia a suonare e lì ci si diverte davvero. Tanto”.
Come ieri sera, del resto. La coorte Lazzerini di Prato non è certo paragonabile alla curva Fiesole di Firenze, per restare nella zona, ma come quelle che hanno riempito a Roma, Napoli, Milano, Ancona, Bari o a quella di un qualsiasi altro mega anfiteatro; ma il pubblico, paradossalmente, di gran lunga inferiore, è molto più attento e meno corruttibile. I fronzoli scenici, tanto per scendere nei dettagli, servono a poco, a nulla, spesso e per fortuna: per incantare la gente seduta sulle seggioline ordinatamente disposte davanti ad un palco illuminato al minimo sindacale, occorre dare prove inconfutabili di sapienza, calore, sonorità.
A Danny, ancora così giovane, un dato che sottolineiamo ancora perché è un elemento assolutamente distintivo, già non manca nulla e anche il suo personalissimo rapporto con la propria sonorità è un segnale, inconfondibile, della propria maturità. Lo dimostra nella composizione strumentale dei brani, nei suoi assoli, nell’interpretazione delle tonalità acustiche della propria voce, già scolpita e modellata. Lo ha ribadito ieri sera, nella presentazione di alcuni brani contenuti nel Cd del trio che porta il suo nome, in qualche sacro omaggio (Jimi Hendrix), in personalissime riletture di motivi che spopolano sulle spiagge e nei jazz club.
Impressioni divise e condivise con il securityman Silvano Martini (ieri rilassato spettatore) e la Fruitz (una bassista che non scherza affatto, quando suona), con l’armonica anarchica di Sauro Ravalli, con appassionati sparsi e sistematici della musica e una fotografa (Giulia Breschi) in vacanza, che non ha saputo resistere al richiamo del live e chiestaci la macchina fotografica ha iniziato a sparare, regalandoci alcuni scatti, così, solo per continuare ad immortalare, senza rivendicarne i diritti d’autore.
Tutti questi – e qualche altro musicista di cui ignoriamo le generalità – alla fine dell’esibizione non si sono voluti sottrarre dal piacevolissimo dovere di complimentarsi con Danny e i suoi due pilastri ritmici, che proprio come due fratelli più grandi stanno accompagnando l’ultimo della nidiata verso le bocche di Bonifacio.
Dove si credeva finisse il mondo. E invece inizia il sogno.