DESTRA? SINISTRA? MA C’È DIFFERENZA?

Daniela Santanchè
Daniela Santanchè

NON CHIAMATELA “destra”, oppure chiamatela così ma mettiamoci d’accordo.

La “pitonessa”, la Daniela Santanchè, che tutte le sere è sugli schermi televisivi a raccontarci cosa è “la destra” e perché votarla è l’emblema della opposizione che non c’è. Quando poi l’opposizione è contro “il nulla” che il bomba-Renzi rappresenta, allora si comprende benissimo perché un paese chiamato Italia è nella trepida attesa di una cura ricostituente che prima o poi qualcuno dovrà prescrivergli.

Nell’attesa cominciamo a ricollocare i burattini che pretendono di rappresentare non si sa bene cosa, al loro posto.

La destra della signora/signorina (chi ci capisce è bravo…) è quella dei salotti della borghesia cafona, dei nuovi ricchi e degli ignoranti, di provenienza “sinistra”. È la destra della cafoneria femminista, quella del “tanto a Berlusconi non gliela do” , quella del “non votate Berlusconi perché a lui piacciono le donne trasversali e non diritte”, tutte carinerie che mostrano una signorilità da bordello.

È la destra della “famiglia in multiproprietà”, del guadagno con i tacchi alti e del modernismo più sfrenato che fa a gara con il modernismo di sinistra. Quello della destra alla Santanchè è il modernismo del guadagno spregiudicato, delle sentenze inappellabili su tutto ciò che è diverso ed incompatibile con i tacchi a spillo, le unghie e i capelli laccati; lo stesso modernismo della sinistra che i capelli laccati e i tacchi a spillo vertiginosi li fa indossare ai suoi amici transgender, gay, lesbo e frattaglia varia e che, scopiazzando il Berlusca, porta il fascinoso anche dentro il Parlamento, non il cervello e le capacità, che divengono solo un dettaglio.

Tutto ciò a dimostrazione che destra e sinistra di oggi sono in fondo la medesima cosa: l’unica differenza potrebbe essere Brunetta, ma è una differenza talmente “piccola” da divenire quasi invisibile.

Patria e Famiglia (senza scomodare Dio) nel pensare politico di questi due apparenti opposti sono intesi e interpretati alla stessa maniera: seguendo il modernismo che in virtù della loro ignoranza confondono con il progressismo, che è ben altra cosa, ed inseguendo la pancia dell’elettore al quale carpire il voto e/o la preferenza senza nessuna concessione all’analisi culturale, storico-politica dei termini che un tempo significavano cose opposte in tanti loro significati. Tutti figli di Marcuse e della signora Rosy Bindi, questi signori, tutti figli del non-pensiero imperante.

Non tutto per loro colpa, però, poiché sono gli incolpevoli parziali ma degni figli di quello sconquasso civile e morale che si chiama 68 e che qualche imbecille, non solo etimologicamente, come Capanna, osa definire ancora “anni meravigliosi”.

Questa tendenza al cupio dissolvi dove tablet, telefonini e marchingegni elettronici vari sempre più sostituiscono il pensiero e il pensare e dove qualsivoglia progetto culturale non trova cittadinanza di fronte al mero progetto economico dove nel capitolato è sottinteso il verbo rubare, è il quadro veritiero di un territorio che un tempo si chiamava Italia; era certamente un territorio imperfetto abitato da uomini imperfetti, biliosi talvolta, aggressivi e faziosi. Ma solo perché avevano un’Idea, giusta o sbagliata, ma sempre un’Idea, un riferimento alla Storia, ai suoi insegnamenti e ai suoi ammonimenti.

Solamente a sfiorare questi argomenti, il dubbio se votare o meno un omuncolo che si chiama Rossi, o similari falsi antagonisti, ai prossimi “ludi cartacei regionali” dovrebbe invogliare i pochi ancora pensanti a seguire le orme di Cincinnato.

Tanto, prima o poi, queste nullità spariranno anche dal ricordo di chi ci seguirà in questo percorso terreno: saranno solo ricordati per insegnare alle nuove generazioni a comportarsi e agire in maniera totalmente contraria. Almeno questo, noi che tutti insieme abbiamo perduto, questo lascito ai giovani lo dobbiamo.

Consoliamoci pensando che anche lo sterco ha una sua valenza positiva, quella di poter essere concime per frutti migliori.

Perché peggio di così… O no?

Print Friendly, PDF & Email