TORNIAMO con alcune reminiscenze storiche e qualche bonaria provocazione su di un tema piccante, che spesso divide ma che ormai merita di essere affrontato con serietà e senza tabù: la regolamentazione della prostituzione.
Ci torniamo anche alla luce della clamorosa protesta di Efe Bal (vedi video e cronaca), che si è presentata nuda sotto la sede del Corriere per dare simbolicamente risalto alla sua battaglia «sono una prostituta e voglio pagare le tasse».
Ormai, in una sorta di autismo compulsivo, casi simili sono diventati la regola, in un Paese che ha il più alto tasso di evasione fiscale e lavoro nero, e dove i grandi evasori se la ridono convinti davvero d’essere dei fenomeni.
Diametralmente all’opposto migliaia di professioniste del sesso si rivolgono all’Agenzia delle Entrate e alla Camera di Commercio cercando di regolarizzare la propria posizione (vedi qui), per aprire una partita Iva, vedendosi sempre negare questa possibilità con la consueta risposta «la sua è un’attività non inquadrabile in alcuna categoria».
Viene quasi naturale trovare qualche analogia tra la sconcertante situazione odierna e l’istanza di un cittadino pistoiese alla Sottoprefettura, nel 1860, per aprire un «Casino di Tolleranza».
Allora l’autorizzazione era stata negata perché i Casini avrebbero incontrato la generale disapprovazione dei buoni cittadini e del resto Pistoia non aveva né una truppa stanziale né un flusso di forestieri tale da giustificare una simile richiesta.
Tuttavia appena undici anni dopo, nelle tabelle del Censimento del 1871, si registravano in città 17 prostitute che esercitavano pubblicamente la loro professione.
Non è affatto strano perché, a seguito dell’alienazione del patrimonio ecclesiastico e della riconversione di alcuni conventi a caserma, erano cambiate alcune condizioni al contorno.
Testimonianze orali tramandano sia di una singolare figura che, al calar della sera, sotto le logge del Comune, attendeva i clienti a fianco di un rudimentale braciere, sia l’espressione coniata per accordarsi sul servizio: mano calda, 50 centesimi o mano fredda, 35.
Questo fino ai primi del Novecento, cioè fino a quando c’era la caserma del reggimento di cavalleria in piazza San Lorenzo. Occupava il fabbricato dell’omonimo complesso monumentale e via Cavallerizza, la strada che dalle mura di viale Matteotti riporta all’ex distretto, ricorda appunto, nella toponomastica, lo spiazzo usato per le esercitazioni militari.
Abbiamo fatto qualche cenno, oltre che alla questione etica alla situazione locale (vedi) dal tempo in cui l’Italia tollerava fino alla legge Merlin; successivamente al declino di via Tomba, negli anni Settanta, le prostitute si erano spostate in viale Malta (Matteotti), all’aperto, dove c’erano anche le giostre e dove, per San Cristoforo, il Vescovo benediceva le poche automobili allora circolanti.
Sono però parole di Efe, concitate ma lucide, «se noi prostitute fossimo tassate, oltre a dare un contributo all’Italia, potremmo finalmente rivendicare i nostri diritti. Io voglio cambiare la legge, non aggirarla», che suggeriscono la provocazione precedentemente accennata.
Visto che Pistoia si connota anche per la spiccata sensibilità per i diritti di tutti, più volte ribaditi in convegni e seminari, e anche alla luce delle mobilitazioni del radicato Movimento 13 febbraio, perché non far partire proprio da qui una campagna nazionale per i diritti di chi esercita la prostituzione? Non sarebbe infatti, la regolarizzazione dell’attività, l’unica garanzia contro la barbarie dello sfruttamento e del racket che subiscono tutte le giovani donne sui marciapiedi italiani?
E poi, visto che prendiamo come modello l’Europa – dove la prostituzione, regolamentata, porta nelle casse statali miliardi di euro – al punto da accettare le peggiori vessazioni politiche e economiche per rispettare la mistica dei fantomatici Stati Uniti d’Europa e del rigore, quale migliore dimostrazione di europeismo e di adempimento dei “compiti a casa”?
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One thought on “DIRITTI DI TUTTI E PER TUTTI. E QUELLI DELLE PROSTITUTE?”
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