PISTOIA. Parlare di “vita indipendente” all’interno di un contesto di vita normale in cui si presume che ogni persona possa svolgere le sue azioni quotidiane, in vari ambiti, in piena libertà e, soprattutto, autonomia fisica… sembrerebbe un concetto scontato e, inevitabilmente, privo di importanza.
Ma se spostiamo certa terminologia su un’altra condizione umana, con caratteristiche diverse e molto più complesse, e cioè la disabilità, o handicap o diversa abilità, che dir si voglia, il discorso cambia completamente, e acquisisce una valenza di gran lunga superiore alla sua accezione iniziale.
È cosa nota, purtroppo, che la Società ha quasi sempre avuto un approccio sbagliato e alquanto pressappochista nei confronti delle persone con disabilità. Per molto tempo il soggetto cosiddetto “diverso” è stato considerato solo un peso (non sono poi così lontane le epurazioni, gli stermini di persone malate, ad opera di regimi oscurantisti…), perché poco o niente produttivo e pertanto, non idoneo a far parte di quella realtà sociale apparentemente ben organizzata e, a torto, ritenuta funzionale ed efficiente.
La conseguenza diretta di questo atteggiamento, sono state “emarginazione” e “ghettizzazione”, entrambe figlie di una palese indifferenza. Si è preferito creare strutture di accoglienza/assistenza o ricovero all’interno delle quali la persona con disabilità, benché comunque dotata di capacità intellettive uguali ai “normodotati”, non può in alcun modo coltivare quella ricchezza interiore frutto di una consapevolezza di sé e delle proprie residue potenzialità.
Passare da uno stato passivo ad uno attivo non è semplice e comporta un impegno non indifferente, in pratica si tratta di mettersi in gioco a 360°, e la società così com’è, non fornisce gli strumenti idonei affinché questo avvenga. C’è sempre bisogno di un cambiamento di rotta, di una posizione impopolare che faccia la differenza, una specie di rivoluzione copernicana capace di sovvertire le regole e mettere in discussione tutto quello che sembra inconfutabile perché acquisito naturalmente.
Ecco allora che negli anni 60, in un’America non progressista e ancora radicata nelle sue contraddizioni etico-morali di fondo, qualcosa è iniziato a germogliare, proprio in quei luoghi (i campus universitari) dove si coltiva (o si dovrebbe coltivare) l’intelletto, affinché ogni individuo eserciti il libero arbitrio. È in questo contesto che un giovane studente, affetto da disabilità è stato in grado di fare un grande salto di qualità, dandosi timidamente la possibilità di organizzarsi la vita attraverso un percorso di “vita indipendente e autodeterminata”, e gettando le basi di un movimento, di una sorta di filosofia di vita, che valorizza la persona in relazione alla misura in cui è veramente capace di gestire i suoi limiti fisici, rendendola più responsabile e concreta.
In base a questa impostazione teorico-pratica, la persona disabile pur in condizioni di gravità si conquista il diritto inviolabile di controllare e gestire la propria vita tenendo conto delle proprie esigenze e priorità, se può e vuole farlo. A tale scopo, essa supera i limiti imposti dalla propria condizione scegliendo consapevolmente e in prima persona uno o più assistenti personali. Tale ultima scelta, con la conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro contrattualizzato e garantito da tutte le coperture previdenziali del caso, rappresenta per il disabile il fulcro del processo di autodeterminazione.
Lentamente ma in modo inesorabile, questo modus vivendi un po’ insolito è uscito dai confini degli States per approdare, alla fine degli anni settanta, nella cara vecchia Europa, contraddistinta da un establishment politico in fermento e dove, comunque, anni di rivendicazioni e di battaglie per i diritti hanno portato alla nascita, nel 1989 dell’Associazione Internazionale per la Vita Indipendente a Strasburgo, e in seguito alla promulgazione di alcune direttive dell’Unione Europea come la Carta dei Diritti, nel cui art. 26 si esplicita la necessità di promuovere scelte mirate a garantire l’autonomia e l’integrazione nel tessuto sociale dei soggetti con gravi disabilità.
In Italia si è cominciato a parlare di vita indipendente in tempi abbastanza recenti, grazie al nascere di associazioni, definiamole di categoria, che hanno promosso questa opportunità di vita come valida alternativa all’istituzionalizzazione delle persone disabili gravi ma capaci di autodeterminarsi. Purtroppo, non esistendo ancora una legge nazionale che ne garantisca l’univocità, ad oggi ci troviamo difronte ad una distribuzione di tale percorso a macchia di leopardo; infatti, sono poche le Regioni che hanno attivato quest’opportunità, e molto dipende anche dalla disponibilità di risorse specificamente dedicate e, spesso, risultate insufficienti per coprire adeguatamente i progetti individuali di vita indipendente.
La Regione Toscana, si è messa al passo nel 2004, approvando una delibera con la quale ha consentito a circa 25 persone residenti in varie zone/distretto del proprio territorio (inclusa Pistoia), di iniziare una sperimentazione (previa sottoscrizione del consenso informato), della quale anch’io ho fatto parte, per verificare l’effettiva applicazione ed il rispetto dei principi su cui si fonda la “Vita Indipendente”.
Nel 2008, dopo la conclusione della sopracitata sperimentazione, siamo entrati in un periodo di passaggio che ha registrato da una parte la nascita di un gruppo di lavoro formato da alcuni ex sperimentatori, e dall’altra l’inizio di una proficua collaborazione tra quest’ultimo ed i vari Funzionari regionali preposti all’uopo. Tutto questo, ha condotto al passaggio successivo e cioè all’approvazione del testo delle Linee Guida per l’avvio dei “Progetti di Vita Indipendente” con inclusa la cosiddetta “Fase Pilota” equivalente ad un nuovo bando di accesso ai suddetti, per ampliare così il numero dei richiedenti e di conseguenza, testarne la ricaduta sociale.
Finalmente, nel febbraio 2012, siamo arrivati alla tanto auspicata “messa a regime”, attraverso l’approvazione da parte della Giunta Regione Toscana, dell’Atto di indirizzo per la predisposizione dei progetti di Vita Indipendente. Indubbiamente, con l’avvio della “ messa a regime” abbiamo assistito alla concreta realizzazione di un’aspirazione, al raggiungimento di un traguardo; è doveroso, però, evidenziare che durante il percorso, non sono mancate criticità di vario tipo, compresa quella gestionale e applicativa.
Anche nel distretto di Pistoia e provincia, dall’entrata in vigore di questo particolare servizio, sono emerse delle problematiche; in particolare, nella fase di valutazione dei vari progetti di Vita Indipendente, da parte della commissione preposta dall’Asl e Comune e composta da professionisti, purtroppo, non informati in modo esauriente sul tipo di lavoro che erano chiamati a svolgere. Detto questo, rimango comunque del parere che, nonostante ci sia ancora nel testo normativo, qualche punto che meriterebbe un’ulteriore revisione con eventuale modifica, tutto ciò, rappresenti un’opportunità di fondamentale importanza nella vita di tutte quelle persone affette da gravi disabilità, che potranno scegliere, consapevolmente, le modalità di assistenza più consone al proprio sentire.
Elisabetta Giromella