La riforma della giustizia è giunta alla curva finale, prima del dirizzone d’arrivo. Che faranno le toghe del terzo piano, i sostituti guidati dal Tom Col? Chiuderanno gli uffici per lo siopero dell’Anm?
PISTOIA. Dopo che anche Mattarella si è pronunciato favorevolmente sulla “epocale riforma della giustizia” (Nordio dixit), l’Anm (Associazione Nazionale Magistrati, un sindacato ridondante, corporativo e strumentale solo utile a difendere i privilegi del 94% dei magistrati associati) ha minacciato lo sciopero, anche ripetuto.
Li comprendiamo: se passa la riforma – adesso alla firma della “mummia sicula” (www.dagospia.com) – la questione si accende al calor bianco: già da tempo Mattarella si è detto stufo di “farsi tirare per la giacca”.
Nel novembre scorso, quando il ministro della difesa, Guido Crosetto, fece da ventriloquo di Giorgia Meloni (parlando di “un’opposizione giudiziaria” e di una “corrente della magistratura in cui si parla di come fare a “fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni”), il sottosegretario Mantovano immaginò di sottoporre le toghe a test psico-attitudinali. Nessun esponente dell’esecutivo è sembrato ricordare che la “toga-in-chief”, in quanto capo del Consiglio superiore della magistratura è proprio il presidente della repubblica.
Recentemente Mattarella ha rilanciato, registrando il malessere serpeggiante nelle aule di (in)giustizia del paese, con un passaggio eloquente: È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento affinché il Consiglio superiore della magistratura possa svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare,superando logiche di appartenenza, che, per dettato costituzionale, devono restare estranee all’Ordine giudiziario”. Tradotto: il Paese è stufo della dittatura esercitata dai molti magistrati inquirenti che usano la delicata funzione giudiziaria per svolgere attività politica (vedi le “logiche di appartenenza”), usando l’azione penale (che è obbligatoria e non facoltativa, lo dice la Costituzione), in modo discrezionale, cioè a “capocchia”.
Questo succede nel circondario di Pistoja: provate a smentirci.
Il Ministro Nordio ha salutato il via libera in Cdm con parole entusiaste: Provvedimento epocale che si articola su tre principi fondamentali: il primo è la separazione carriere, che attua il principio fondamentale del processo accusatorio voluto da Vassalli, gli altri sono la composizione e l’elezione del Csm con il sistema del sorteggio e l’abolizione delle correnti, ovvero del potere dittatoriale delle toghe rosse: un fenomeno quello della malagestione stranoto a Pistoja e bene illustrato da Luca Palamara e Alessandro Sallusti nel saggio “Il Sistema” ovvero sulle “Le toghe rosse”.
Ora la cosa che interessa sottolineare è un’altra. Al Canto al Balì di TVL, faranno una nuova edizione sul tema della “Importanza della giustizia” con il procuratore Tom Col, uno che argomentò sulla correttezza della “unione delle carriere” ricorrendo non al merito dell’argomento, ma alla bassa affluenza alle urne degli elettori del referendum (non sorprende ciò, visto il contenuto altamente tecnico dell’argomento), e – fatto grave – ricevendo anche il bacio della pantofola dal presidente delle Camera Penale, Andrea Ferrini che si complimentò per il rispetto delle solenni – quanto a Pistoja calpestate – disposizioni dell’articolo 358 cpp.
Del resto, come disse il principe del foro Andrea Niccolai, “…Coletta è uno che parla pochissimo” (successe il 4 ottobre scorso alla platea di giornalisti riuniti a un corso di (dis)informazione tenuto nella città di Sarcofago City, salvo poi il Coletta, aver minacciato un sottufficiale delle fiamme gialle (poi perseguitato e discriminato, ovvero il Lgt. Daniele Cappelli, che era impegnato in una delicata inchiesta che richiedeva la delicata intercettazione telefonica alla sorella di Luca Turco, per delle cose Turche!
Il Palazzo di Giustizia, spiegò il Niccolai, è anche un colabrodo di notizie sottoposte al segreto istruttorio: al terzo piano – e questo lo sapevamo già bene noi di Linea Libera – alcuni giornalisti hanno delle corsie preferenziali e non mancano di uscire con le migliori anteprime delle notizie di cronaca. C’è chi può e chi non può, come dimostra ogni giorno Massimo Donati.
Chi non ha capito ancora il fenomeno della dittatura delle toghe rosse del terzo piano del tribunale, non ha molte speranze: si ritiri in una capanna della steppa della Mongolia, dove almeno, non sarà tassato per pagare gli alti stipendi a magistrati che, con la loro spregiudicatezza, offendono lo spirito della Costituzione e la quota minoritaria dei colleghi onesti e integerrimi, che lavorano nel rispetto dell’articolo 54 della Costituzione, non solo comportandosi in modo terzo e imparziale, ma anche apparendo tali, come spiegò chiaramente sempre il 4 ottobre, il questore Olimpia Abbate.
Ai superstiti colleghi di Luigi Bardelli vogliamo infine dare una consiglio per un nuovo Canto al Balì sul tema – attualissimo – della “importanza della giustizia” invitando non l’avvocato Ferrini che non sembra poi tanto ferrato, ma il contrappuntista collega anziano, assai navigato nell’ambiente e dunque preparatissimo ed esperto, avvocato Gaetano Berni, magari affiancato dal già procuratore di Prato Piero Tony, uno che, “non potendo tacere” ha scritto un eloquente saggio (proprio così intitolato) dedicato al diffuso problema della malagiustizia che stravolge l’ordine dei poteri dello stato e che si chiude con una speranza emblematica: spero che le mie nipoti, possano dire un giorno, c’è un Giudice Roma!
PS: l’Avvocata Monna-Lisa Lucarelli, dello studio denti davanti, voglia scusarci se ancora una volta facciamo ricorso a numerosi richiami ipertestuali.
A.R.
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