Chi se ne frega se la figura del pubblico ministero dovrebbe essere terza, imparziale e indipendente come sancito dall’articolo 358 c.p.p.? Nessuno del Terzo Piano cerca prove a “discolpa” degli indagati, perché così si fa prima a spingere i giudici alla condanna. Anche per svariati motivi perfino inconfessabili
GENOVA-PISTOIA. Alla ricorrenza del drammatico crollo del Ponte Morandi, anche Pistoja ha ricordato il luttuoso evento con numeri pesantissimi: 43 morti, 62 indagati e 58 rinviati a giudizio, con un solo pubblico ministero, Massimo Terrile, unico applicato dalla Procura. Eppure il processo è complesso e lungo, pur viaggiando al ritmo di tre udienze alla settimana. E rischia di vedere giungere la prescrizione per una parte dei reati.
Nel processo politico contro “Linea Libera” affidato a Luca Gaspari – e lo diciamo con una punta di orgoglio – i pubblici ministeri erano ben tre, tutti di chiara ispirazione montanelliana, e anche con delle sicure personali «prossimità sociali» (vedi Tom Col con la sorella del suo collega Luca Turco; o Curreli, sbilanciato a favore dei clandestini; o Grieco, che non indaga mai l’Asl).
Si sono dovuti stringere al tavolo della pubblica accusa, perché lo spazio non era previsto per una trinità. Ma – a auqnto crediamo – lo hanno fatto volentieri pur di fare chiaro, con il linguaggio “non verbale”, che la sentenza doveva soddisfare le loro richieste. Come del resto Gaspari ha fatto: alla maniera di Garibaldi e del famoso «obbedisco!».
Coletta, Curreli e Grieco, lo palesavano fisicamente con il linguaggio del copro. Nella gabbia degli imputati c’erano due pericolosissimi stalker così giudicati anche dalla Gip Patrizia Martucci.
Chi se ne frega se nelle sue funzioni il pubblico ministero deve sembrare ed essere terzo, imparziale e indipendente ex art. 358 c.p.p.? La legge, il pubblico ministero, la interpreta: ovvero la decide lui col beneplacito di tutti, corpo elettorale compreso che non è in grado di capire l’aberrazione in cui prospera la magistratura, assolutamente incontrastata e incontrastabile – o si rischia l’eresia del fascismo.
L’articolo 358 c.p.p. prevede come dovere dell’accusatore, anche quello di ricercare le prove a “discolpa” degli indagati. Ma a Pistoia – e nonostante quello che ha detto pubblicamente a Tvl, dinanzi al Coletta stesso, l’avvocato Ferrini, ex presidente della camera penale – la condanna per Linea Libera e i suoi giornalisti doveva esserci per svariati motivi, non ultimo, quello di chiarire alla comunità dei giornalisti ordinati e allineati, che, anche nella città di Vanni Fucci, vale il proverbio siculo Cu è surdu, orbu e taci, campa cen’tanni ’npaci. Tutto questo vale oro per la camera penale oggi affidata alle cure dell’avvocata Daria Bresciani che, pistoiesemente, non risponde alla corrispondenza che le viene inviata…
Del resto la stessa procura aveva ignorato anche la vicenda del ponte autostradale di via Matteotti ad Agliana, che, non è mai stato messo in sicurezza dal mai-comandante dei vigili Andrea Alessandro Nesti (per il periodo 2 Gennaio/19 Febbraio 2015). Il ponte in questione venne poi chiuso e messo in sicurezza dalle due successive dirigenti, Nanni e Turelli, con un periodo di pericoloso abbandono del cavalcavia a rischio crollo.
Nessuna omissione da parte dell’ufficio lavori pubblici, ci spiegò il Geometra Giampaolo Pacini, ma allora le successive dirigenti della Pm di Agliana, sono state buggerate o erano solo troppo zelanti? Perché fecero, entrambe (non è un dettaglio), le numerose ordinanze di regolazione del traffico pesante con la chiusura dei camion superiori alle 12 tonnellate?
Di questo fatto nessuno (né Coletta, né Curreli, né Grieco, né Gaspari) se ne preoccupò. Perché la priorità assoluta non era la sicurezza della gente, ma la certezza della condanna di chi scrive e di Edoardo Bianchini.
La legge, in Italia, è questa, caro Mattarella!
A.R.
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