dittatura dei pm. SCORDATEVI CHE L’ARTICOLO 21 SIA UN CAPOSALDO DELLA LIBERTÀ: È SOLO UN ‘GAVISCON’ PER FAR DIMENTICARE AI CITTADINI CHE L’ITALIA DELLO STATO DI DIRITTO È UNA «PRISE DE CUL» IN MANO AI PM

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Parole nate e consacrate dall’approvazione della carta costituzionale da parte dell’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947; promulgate dal capo provvisorio dello stato il 27 dicembre successivo, ma sùbito cancellate, senza tanti salamelecchi (e neppure con una legge costituzionale!) dalla legge 47 del 1948, che rimise in piena auge le norme fasciste del controllo sul pensiero, a cui si aggiunse la stessa legge 69 del 1963, istitutiva dell’inutile ordine dei giornalisti, oggi una perfetta cinghia di trasmissione delle ondate schizofreniche del pensiero unico conformista appecorato


Paradosso. Non mi sarei mai aspettato di dover essere perseguitato da chi, per legge, dovrebbe fare applicare e rispettare la legge

CASSATION OR GASSATION?

THAT IS THE QUESTION…


Alla fine nel mondo ognuno trova la sua dimensione e la dignità che gli compete

 

I Pm di Pistoja ci hanno messo in ginocchio non perché eravamo dei pericolosi brigatisti, di un qualsiasi colore, inneggianti all’eversione e alla distruzione dello stato, ma solo perché chiedevamo – a chi aveva l’obbligo istituzionale di farlo: la procura – di riportare Pistoja sulla retta via della legalità.

Abbiamo dimostrato – per tabulas e non per fanfalucas – che i Comuni di Quarrata, Agliana e Montale facevano schifo, e continuano impunitamente a farlo, sotto diversi punti di vista.

Ma il “rigore morale” del sostituto Claudio Curreli – l’uomo che da sempre viola le regole del gioco sia del suo mestiere che dei doveri specifici del magistrato quanto a terzietà, imparzialità e indipendenza – ha fatto sì (con il valido aiuto anche di un Pm capo, passato alle cronache come “l’uomo che non intercettava le sirocchie del suo superiore gerarchico”); ha fatto sì che la voglia insana di inventare un reato che non c’è (lo stalking giornalistico) ci trasformasse in persecutori del ragionier non-dottor Romolo Perrozzi; del mai-comandante dei vigili di Agliana, Andrea Alessandro Nesti; di due incapaci politici come Bimbominkia-Benesperi e l’aggressivo Tubatore-Agnellone-Segatura, lo “squadrista a scoppio ritardato” Maurizio Ciottoli, spalleggiato e sorretto da un campione di coerenze quale il senatore La pietra/Plastilina, morbido e pronto ai compromessi e agli inciuci.

Ci siamo ritrovati, insomma, da cittadini attivi e propositivi (lavorare stanca, Pavese) a perseguitati né più né meno di un qualsiasi povero ebreo malvisto e – oggi – nuovamente a rischio di tornare alla gassazione.

Noi, per volontà di Tom Col, siamo finiti alla Cassazione: e perfino chi avrebbe dovuto – per prudenza, pudore, correttezza, opportunità – astenersi dallo stendere la decisione di annullare la libertà di pensiero-parola-azione-opinione-coscienza, lasciata libera dal riesame presieduto da Stafano Billet (intendo qui indicare il democratico Giuseppe De Marzo) ha preferito («prossimità sociale»?) assecondare l’anti-costituzionalità, offendendo spirito e lettera dell’art. 21.

Eravamo giornalisti (perché anch’io lo sono e resto, dal 1967, anche ora che non intendo riconoscere l’autorità di un ordine discutibile e corrotto) alla luce del sole, ma fra tutti – e, in ipotesi, non per paura, ma per terrore della verità – ci hanno scaraventato nel buio più profondo della soffitta di Anna Frank.

Perché Curreli deve essere (e lo può) il direttore d’orchestra della clandestinità e dell’immigrazione illegale? Non ha obblighi assai diversi nei confronti di chi, ogni mese, gli paga lo stipendio? E perché, prima di reprimere chi vuole, non reprime se stesso? E per quale motivo Coletta non fiata e al Csm lo proteggono, come ci ha scritto Maurizio Brbarisi?

Abbiamo resistito alla violenza e all’abuso delle «autorità costituite»; al sistema delle «prossimità sociali» protezionistiche di Curreli e della procura di Pistoja. Abbiamo fatto quello che avrebbe dovuto fare l’ordine dei giornalisti di Carlo Bartoli e di Giampaolo Marchini: difendere, difendere, difendere la libertà di pensiero contro il vizio malsano di certi magistrati di aggredire chi ha un cervello proprio, attraverso gli strumenti dello stalking delle pene per reati di opinione. Non meglio tutti i giornalisti di Pistoja. Uno solo escluso: Mauro Banchini.

Ma il giornalismo montanelliano, quello che i sostituti Curreli e Grieco, dall’alto del loro acume spezzato ci contestano da sempre, si fa per il piacere di farlo, anche se è pericoloso, con certa gente intorno; anche se costa.

Perché la verità è una bruttissima bestia: impone di scegliere il megafono e gridare anche quando (anzi, proprio quando) i democratici carnefici ti fanno salire gli scalini della ghigliottina e ti consegnano al boja credendo di avere cancellato il problema.

In fondo sta proprio qui la differenza fra uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà di un Leonardo Sciascia tutto fuorché fascista. Sta nell’usare la propria lingua o per parlare o per leccare. Noi abbiamo parlato e continueremo a farlo.

«E detto l’ho perché doler vi debbia!», parodiando la battuta dantesca al ladro in cattedrale Vanni Fucci, anch’egli pistojese…

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.info]
© LineaLibera Periodico di Area Metropolitana


 

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Abbiamo lavorato in soffitta: bella libertà da art. 21, vero?


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