Ma è solo uno step, un’estrazione poetica e idealtipica, un accidente scenografico. La storia parte da molto più lontano e non finisce lì; anzi, non finisce proprio, prosegue, senza via d’uscita, senza soluzione, incartapecorendosi su se stessa e lasciando, nel lettore, quel senso imponderabile di sconforto, che ha segnato quella generazione e continua a marcare a fuoco molte di quelle venute dopo.
Il padre è ormai morto da anni e la madre, che in gioventù è stata una gran bella donna, non si è ancora arresa e non lascia presagire di volerlo fare al tempo trascorso e alle nuove vicissitudini, nemmeno di fronte ad una figlia parzialmente menomata e ad un figlio incapace di realizzarsi, impulsivo e rabbioso ad ogni premura materna, ma incapace di prendere una qualsiasi decisione, se non quella di rimandare a chissà quando lo strappo.
Non esiste un fuori, né un dentro, non un altro, ma nemmeno i protagonisti, ininfluenti varianti accidentali che servono solo alla storia non tanto per compiersi, ma per continuare a nutrirsi dei suoi limiti, senza un epilogo, né tanto meno un colpo di scena.
Meravigliosa l’asfittica insistenza materna, le sue false preoccupazioni, il suo amore malato e insolente verso i figli; notevole, per uno strategico basso profilo, la tenera inconsistenza della figlia, quella sua velata claudicanza che si trasforma, per un portamento decentrato, in un handicapp sin troppo invasivo.

Patetico e irritante il desiderio, represso e pigro, del figlio di scrollarsi di dosso il peso di una famiglia che non esiste più e cinica, ma diretta e onesta, la franchezza dell’ospite, che riesce, con un semplice coinvolgimento, ad illudere e poi uccidere, i sogni sentimentali della ragazza, una giovane vecchia, una femmina mai nata, una figlia che è stata prima madre.
Fuori luogo, ma perfettamente incastonate nell’alveo degli abbonamenti, alcune risate fragorose del pubblico, terrorizzato, forse, più che divertito, dall’idea di scoprire di vivere, da sempre, esattamente nello stesso identico modo degli attori, e ritrovare, sulla consolle della sala da pranzo delle proprie abitazioni, lo stesso zoo di vetro.