25 aprile. LIBERA NOS, DOMINE!
«Tagliate gli arti che vanno in cancrena per salvare il corpo elettorale che è l’unico davvero…»
SONO PASSATI 74 anni dal giorno della liberazione e ancora sono polemiche su polemiche, scontri su scontri, insulti su insulti, eia eia e pugni chiusi. I partigiani non sono mai finiti, né dall’una né dall’altra parte.
E lo scontro, che si vive nelle polemiche di tipo ideologico intramontante, è quello di un popolo diviso e contraddittorio come il governo che si ritrova: l’unione forzata di due elementi incompatibili, acqua e olio che – hai voglia a mischiare – possono dare solo un’emulsione (cioè una specie di crema-troiaio) e non una soluzione omogenea, efficace, utile al bene comune.
L’Italia di 74 anni dopo è la perfetta dimostrazione del pensiero secondo cui ogni popolo ha il governo che si merita, perché da quel popolo escono quei governanti e non altri: Lupo non caca agnelli. Necessariamente.
Festeggiare la liberazione da cosa, allora? Da quel fascismo da cui ci siamo affrancati dando vita alla Costituzione più bella e meno rispettata e applicata al mondo?
In 74 anni non abbiamo visto altro che botte e insulti da destra a sinistra, andata-e-ritorno. Abbiamo assistito a qualsiasi tipo di impossessamento del potere, dai tentati colpi di stato, alle guerriglie rosse/nere; dalla vacanza del potere politico sempre più debole e fragile, al tentativo – ogni giorno più marcato – di arrembaggi alla barca dello stato portati avanti da orde di magistrati (ora di un colore, ora di un altro) che si combattono fra loro dividendosi in congreghe in guerra, mentre il popolo ne ha fatto e ne fa le spese sulla propria pelle.
E, dunque, da cosa, di fatto, ci siamo o siamo stati liberati? E la nostra più bella Costituzione del mondo, quella che tanto piace a tutti i radical di destra e di sinistra, cosa ci garantisce e come ci protegge? Dandoci, forse, per due volte un presidente che democraticamente faceva la cresta sui soldi della spesa pubblica e che ci ha imposto ben quattro governi non eletti? Facendo, forse, salire al Colle un presidente che, da giudice costituzionale, ci ha detto che il parlamento era illegittimo per poi farsi scegliere come primo magistrato dello stato che ci fa ogni giorno piripì dal palazzo che fu dei papi, dei re e dei degni rappresentanti della democrazia cristiana e postdemocristiana?
In mezzo a un casino di questa portata, allo sfascio terremotale di un paese che stava ben dritto in piedi e che, dagli europeisti e dall’euro in poi, è stato messo in ginocchio per essere in seguito avviato all’estinzione, due citrulli si fanno la guerra perché, come i due cavalli platonici, uno bianco e uno nero, tirano focosamente il primo verso l’alto e il sublime e il secondo verso il basso e la sentina: e i due colori sono esattamente intercambiabili; scegliete voi; non ci sono giudizi di merito.
Dobbiamo prepararci ancora al peggio di cui non esiste la fine? Abbiamo un’amministrazione pubblica a dir poco emètica; abbiamo una sanità con le pezze al culo, ma che lottizza e butta soldi dall’elicottero ai suoi scagnozzi, il più delle volte somari e incompetenti, ma ottimamente pagati perché obbedienti e fedeli al P[artito] D[iturno]; abbiamo una scuola che cade a pezzi, per edifici fatiscenti e docenti che non conoscono ciò che insegnano e hanno bisogno di leggere i libri di testo con l’ausilio della guida per il docente; abbiamo dei dirigenti con lingue da giraffa, dai 50 centimetri insù, pronti a leccare l’ano del potere (non dico orifizio per rispetto della bocca); abbiamo giudici allegri che, grazie alla loro costituzionale indipendenza, fanno quel che gli pare sicuri di essere impuniti, e grazie al loro potere (ma lo chiamerei arbitrio) discrezionale tagliano e cuciono i vestiti addosso al popolo, più spesso che mai arrivando con le forbici fino a tagliare la ciccia che c’è sotto; abbiamo magistrati che fanno politica e transitano disinvoltamente dalle aule ai seggi; o altri che – secondo la “visione del poeta” in Primo Levi – digeriscono male e emettono sentenze non di rado defecate dalla violenza degli strizzoni di corpo di cui soffrono per troppo mangiare, come Martino IV in Dante: abbiamo questo e altro accompagnato da file di medici, avvocati, giornalisti, ingegneri e quant’altro in forma di code più lunghe di quella che s’assiepa nell’Inferno ad aspettare la barca di Caronte. Ognuno con le proprie mende, di gran lunga numericamente superiori alle virtù.
Abbiamo anche uno stato che, in oltre 70 anni, non è riuscito a cancellare la vergogna infamante del carcere per chi esprime un giudizio in piena libertà di pensiero, mentre i nostri due cavalli di Platone (ma forse meglio da giostra) stanno a perdere tempo dietro alle loro cazzate mentre la barca affonda: con esempi di pene che offendono Dio, per cui un proletario sardo, che ruba in un supermercato tre pezzi di formaggio e otto salsicce, finisce condannato a 9 anni e 6 mesi di carcere, mentre chi ruba denaro pubblico e ne fa gozzoviglia, ne prende appena tre o quattro.
E allora, scusate, altro che festa della liberazione! Liberate, politici e babbei che si riempiono la bocca d’aria, questo stato dalle catene e da tutti i legami e i nodi che lo tengono più stretto che il fascismo stesso. Riformate seriamente la magistratura e levate di mezzo Davide Ermini, un avvocato politico, più incompatibile di una supposta di cianuro, dal Csm. Stangate senza pietà chi deve essere stangato, sia l’ultimo spazzino o il primo procuratore capo, se non fa il suo mestiere e il suo dovere.
Tagliate gli arti che vanno in cancrena per salvare il corpo elettorale che è l’unico davvero ad avere il diritto di essere liberato dal fascismo canceroso di uno stato che blocca tutto e danneggia tutti. Fatela voi la vera Liberazione, quella di cui c’è bisogno e che per gli italiani non è il 25 Aprile o l’Europa.
O, altrimenti,… Libera nos, Domine, de morte eterna!
[Edoardo Bianchini]
direttore@linealibera.it
Diritto di critica
«Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che, postulando l’esistenza del fatto elevato a oggetto o spunto del discorso critico, trova una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere; di conseguenza va esclusa la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano adeguate e funzionali all’opinione o alla protesta, in correlazione con gli interessi e i valori che si ritengono compromessi». [Cassazione Penale, Sent. Sez. 5 Num. 8195, Anno 2019, Presidente: Pezzullo Rosa, Relatore: Morosini Elisabetta Maria. Data Udienza: 17/01/2019]