PISTOIA. Per arrivare belli freschi alla 37esima edizione, quella del 2016, è utile, quasi indispensabile, onde evitare che le emozioni vengano assorbite da sgradevoli contrattempi, iniziare a pensarci ora. Ma seriamente.
Sì, è vero, il sipario sulla 36esima volta del Festival Blues si è chiuso da meno di 24 ore, con negli occhi e nelle orecchie la straordinaria esibizione di Sting e della sua pregevole formazione.
Ma non si è capito prima, né durante e nemmeno il giorno dopo, se d’ora in avanti, il Festival di Pistoia sarà questo: una miriade di appuntamenti, nove, davvero molti, spalmati su buona parte del mese di luglio, fino a qualche giorno prima o no della festa del Santo patrono, San Jacopo, ricorrenza della quale a nessuno frega assolutamente nulla, giostra o non giostra, cavalli sanissimi o azzoppati e da abbattere.
Vivo a Pistoia dal dicembre del 1982: in questi trentatré anni non ho mai avuto l’onore e la coincidenza di assistere a una goliardica disputa rionale; eppure, anche questa città, come tutto il resto del paese (la p minuscola immaginatevela più piccola dell’usuale) è letteralmente immersa nelle dispute calcistiche nazionali e gli eventuali segnali di troglodita appartenenza sono riconoscibili 365 giorni l’anno, anche in piena calura.
Insomma: quel Festival che per 34 edizioni ha fatto la storia, anche controversa, ma date alle stampe, di Pistoia, ce lo dobbiamo dimenticare? Non sarà mai più come prima, venerdì, sabato e domenica, con più di un nome anche all’interno della stessa serata? Non vedremo mai più le bancarelle e le loro spezie illusorie invadere le vie del centro? Non è stato ancora programmato un ostello della gioventù dove il popolo del blues possa trovare alloggio e pernottamento a prezzi modici collegati ai tagliandi degli spettacoli di piazza del Duomo?
Anche Pistoia si è lucchesizzata, diventando un altro Summer Festival come quello sulla falsa riga della ditta D’Alessandro & Galli ma a prezzi decisamente meno proibitivi? Il blues, ad origine controllata e d’autore, ce lo possiamo per sempre dimenticare, con l’eccezione delle serate gratuite guidate da Nick Becattini, ribattezzato, proprio da quest’anno, B.B. Nick?
È per questo che è oltremodo importante e lungimirante sedersi, casomai dopo aver dato in pasto ai media i numeri di questa edizione, e iniziare a vedere che cosa si potrà e dovrà fare nell’immediato, medio e lungo periodo, partendo, ad esempio, da un’immersione degli artisti nella città, come è stato il meraviglioso esperimento di Passenger, nella mezz’ora che si è esibito scalzo appoggiato al pozzo del Leoncino.
Sulla qualità delle offerte è assurdo mettersi a discutere: non andrei a vedere un concerto dei Mumford & Son nemmeno se mi pagassero, ma lo scrivo senza pensarlo, perché quelle novemila teen agers che li hanno osannati per oltre due ore potrebbero darmi dello stolto, vecchio e anche un po’ rincretinito senza dimenticare di considerare la possibilità che parecchie di loro, di Carlos Santana ne ignorino l’esistenza e che Sting sia soltanto l’ex bassista dei Police.
Qualcuno, da tempo, sponsorizza e spera che la manifestazione tolga le tende dal centro e si trasferisca allo stadio, che non è un posto infernale, badate bene, ma che riduce sensibilmente il fascino di alcune esibizioni; partendo dalle ultime, il chitarrista messicano e il polistrumentista intellettuale di Newcastle, in un’altra cornice meno sontuosa come quella di piazza del Duomo, avrebbero avuto altri esiti, sicuramente emotivi.
Insomma: sarebbe carino coinvolgere un po’ di più alcune rappresentanze cittadine e progettare insieme i Festival che verranno. Del resto, sono anche nostri.