MONSUMMANO. Bravi, bravi, bravi davvero. Ad iniziare da Giancarlo Marinelli, il regista e passando in rassegna il nutrito stuolo di attori che ieri sera, al Montand di Monsummano Terme, hanno dato vita al riadattamento teatrale, già immortalato sul grande schermo da David Lynch, del racconto di Frederick Treves, Elephant man.
Teatro tradizionale a pieni effetti e meriti, vero, con tempi ed emozioni ben scandite sul quadrante della rappresentazione oraria, con una percentuale riservata al personale istrionismo forse vicina all’impercettibile, ma con un trasporto ed un’immedesimazione scenica, che in gergo si chiamano professionismo, da applausi a scena aperta, quella che gli spettatori hanno tributato a tutti i mattatori.
Sugli scudi, ma non c’è nemmeno bisogno di dirlo, figuriamoci di scriverlo, Ivana Monti, una decana meravigliosa del costume, del buon senso, della ragionevole interpretazione, di un teatro provato e riprovato un milione di volte e imparato ed assimilato con tanta naturalezza che poi, alla prova del fuoco, diventa il suo abito naturale, l’indumento migliore, il capo d’abbigliamento disegnatole addosso. E di Giorgio Lupano, applaudito due mesi fa sempre sullo stesso palcoscenico nella claustrofobica Maratona di New York, con Cristian Giammarini e subentrato, all’improvviso, alla défaillance di Daniele Liotti, per indossare le mostruose sembianze dell’uomo elefante. Senza dimenticare Debora Caprioglio, ricordata per le piccanti, ma gratuite, scene hard nelle pellicole di Tinto Brass e che invece, in quella meravigliosa alcova sensuale, ma senza erotismo, che è il palcoscenico, sfodera un invidiabile trasporto teatrale.
E Rosario Coppolino, un medico con pochi scrupoli che dagli scrupoli viene sommerso e sull’onda di questi riesce a riscattarsi, in perfetta sintonia con Francesco Cordella, un presidente ospedaliero che poi capisce il dramma della mostruosità del paziente e con la dolorosa, ma affatto statica, lunghezza d’onda dell’intera compagnia. Ad iniziare dalla falsa sorella cieca del protagonista, Serena Marinelli, un’abile procacciatrice che si finge non vedente per imbastire il rapimento della grande attrazione circense di Andrea Cavatorta, viscido venditore di fumo nella Londra decadente di fine ‘800, che si avvale della complicità del giovane impotente Simone Vaio, un giovane senza morale alcuna che può affidare ogni sua riprovevole esternazione alla facoltosa ed intoccabile posizione paterna.
Il buonismo imperversa senza pause e ritegno alcuno; nessuno si permette il lusso di spostare sul pentagramma una nota; la melodia però, sinfonica per l’afflato collettivo, ne esce musicalmente salva e lo spettacolo, come un buon surfista che cavalca da anni onde mai uguali, riesce a restare sulla cresta, mantenendo vive e interessanti aspettative ed emozioni, con una scenografia che senza sfarzi americani rende perfettamente l’idea, la sua connotazione storica e sociale e affida alla forza professionale dei protagonisti l’arduo ma superato, a pieni voti, compito, di trasformare uno spettacolo in uno spettacolo teatrale.