PISTOIA. Domenica mattina, ore 10:23. In Piazza del Duomo a Pistoia qualche turista, vento freddo leggero, a folate. Bar e locali chiusi. Cacche di cane spiaccicate a terra (da chi, probabilmente, non immagina di essere stato baciato dalla buona sorte) e cartacce svolazzanti a 20, 30 centimetri. È marzo, tempo incerto a Pistoia prossima capitale italiana della cultura: la giornata dovrebbe andare sul sereno, però. Camminiamo a passo spedito verso il Tribunale: nell’atrio c’è una mostra che ci interessa, che vogliamo vedere.
Alt! La porta del Tribunale è sbarrata. Pensiamo subito: colpa nostra, abbiamo sbagliato orario. Poi un colpo di fortuna, la grande porta si apre, l’addetto sparisce in men che non si dica. Per primi, entrano due turisti tedeschi di una certa età: temerari. Lei è una signora robusta, pare in forma; lui si trascina sulle stampelle. Dietro, noi. Il tempo di scattare una foto agli affreschi e alle decorazioni del soffitto e i turisti, lasciati a se stessi, se ne vanno.
Rimaniamo soli, con i nostri pensieri. Osserviamo la gigantografia di Erika, che rammenta in tutto e per tutto una nostra compagna di Ginnasio, la curiosità intelligente fatta persona. Poi… poi… nasce spontanea, la recensione: ce l’ha dettata, boh, forse il cuore forse la testa.
“Un grande successo, del talento personale e della sensibilità pistoiese. Si è conclusa tra i sorrisi, espressione più significativa della sua riuscita, la mostra fotografica ‘Un segno che non passa mai’, tenutasi nello splendido atrio affrescato del Tribunale di Pistoia: una selezione di 31 splendidi scatti di Erika Tormentoni, una giovane donna pistoiese deceduta lo scorso anno a causa di un tumore del sangue, ma che ha lasciato un segno, tangibile, del suo passaggio terreno.
“Una rassegna ideata dai suoi amici, promossa dall’associazione no-profit Opera Prima, realizzata con la collaborazione di Ail (Associazione italiana per la lotta contro leucemie, linfomi e mielomi sezione di Pistoia e della Valdinievole) e patrocinata dal Comune di Pistoia. Un’iniziativa lodevole, per ricordarla e allo stesso tempo sostenere la ricerca: tutti i proventi raccolti durante i giorni di esposizione sono stati devoluti ad Ail, che li utilizzerà per co-finanziare una borsa di studio a lei intitolata.
“Trentun foto, da Chiazzano a New York, trentun foto del nostro pianeta, del nostro mondo, della nostra società: trentuno sguardi, discreti, di una donna che amava la vita e tutto ciò che era vita, come la fotografia. Quelle immagini, suggestive e dense di significati (speciali gli occhi di un gatto), sono la testimonianza più vera dell’arte di Erika, che non è più, ma è sempre più visto che è stata capace di farsi ricordare con tenerezza, ma pure con forza, passione, tenacia”.
La recensione è terminata. Firmiamo il quadernone che contiene i pensieri altrui, per consolare chi resta e dialogare con chi è passato (ed è più vivo di noi). Ci resta nello sguardo quel micio, quegli occhi di brace. Chissà se quando ha fatto clic, Erika sapeva di raccontarci quel che c’è al di là del cielo.
[Gianluca Barni]