ASMARA. Il prossimo 24 maggio sarà celebrata ovunque nel mondo la “Festa dell’Indipendenza” del popolo eritreo e, alla luce delle drammatiche vicende di cronaca che ci sconvolgono per gli arrivi di profughi sulle coste siciliane, il contributo di un visitatore ci permette di fare una sintetica analisi al riguardo.
L’emorragia di giovani eritrei è un fattore di criticità non solo per l’Europa – in particolare per l’Italia, che accoglierà i più fortunati – ma anche per l’assetto odierno dell’ex colonia italiana: una fuga costante stimata in 2mila giovani al mese, soprattutto maschi, su di una popolazione complessiva di circa 6 milioni.
La vita nel Paese è gravata dalle vessazioni del duro regime militare, che impedisce anche spostamenti interprovinciali senza apposite autorizzazioni e dissuasivi “visti di controllo”, ostacolando così lo sviluppo dell’unica risorsa disponibile: il turismo.
La progressiva diaspora di giovani è dovuta alla minaccia della “leva miliare”, che li vedrebbe cadere ostaggio del regime per lunghi anni della loro vita, ed espone tutti gli anziani “abili” a forme di reclutamento coatto.
La leva militare obbligatoria è un’istituzione necessaria al regime per il sostegno dell’azione militare contro l’Etiopia, utile a garantire la migliore propaganda governativa e la necessaria oppressione delle libertà individuali, in nome di un frainteso senso di tutela dell’interesse generale della “sicurezza nazionale”.
Con una erogazione alternata e a scacchiera dell’energia elettrica, anche fare una doccia, leggere un libro, ascoltare la radio o usare il frigorifero sono un’esperienza imprevedibile e, nelle città capoluogo, sussiste una rete latente di potenziali delatori, pronti a sfruttare qualche comportamento anti-patriottico di qualunque conoscente, per il godimento di piccoli benefici o privilegi del prepotente regime militare.
La città di Massawa è ancora deturpata dalle rovine dei bombardamenti della guerra: appare immersa in uno squallore inquietante e di decadenza inimmaginabile all’ignaro vivitatore, suggestionato dal potenziale turistico dell’arcipelago delle Dalak.
Insolita la vista di un porto privo di navi mercantili a causa dell’assenza di importazioni, imposta da una anacronistica forma di autarchia di Stato.
La visita di alcune città ci ha permesso di vedere la generale mancanza di infrastrutture con una decadimento oramai stabilizzato di qualunque premessa di sviluppo industriale.
Non mancano i campi militari – con armi di tipo convenzionale – impegnati in continue esercitazioni assai utili al regime in quanto intrise dei soliti valori di patriottismo e nazionalismo.
Con un livello di libertà di stampa nullo (non troverete edicole ad Asmara, la capitale), un’unica rete televisiva e una diffusione limitata e controllata del web, anche il turismo viene mortificato e depresso da persecutorie limitazioni alla mobilità: oltre al visto di ingresso consolare, serve il permesso della locale “agenzia per il turismo” della provincia di partenza, da richiedere almeno due giorni prima dell’avvio del tour e da usare per uno spostamento coatto con un taxi noleggiato e autorizzato.
Non potremo parlare di servizi di trasporto pubblico – la tratta di ferrovia del 1920 è in via di dismissione e funziona saltuariamente solo con una prenotazione di gruppi; l’assistenza sanitaria è possibile solo nella capitale e non assicurata da qualche sistema di welfare che non esiste.
Il turista resta spesso amareggiato dalla costante condizione di depressione, non solo economica, ma anche culturale della popolazione – diffusamente rassegnata e prona alle vessazioni costanti del regime, che esercita una negazione dei princìpi essenziali di libertà.
Potrà forse riuscire parzialmente a consolarsi solo con la bellezza di alcune opere architettoniche costruite un secolo fa dalla competenza manifatturiera italiana, che si respira in modo stabile e diffuso nelle città principali, occupate nel periodo coloniale dell’era fascista.
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