FIRENZE. Disattivatelo, è pericoloso. Filippo Timi è un rischio naturale per tutto il teatro: sbeffeggia quello tradizionale, dove il copione è il vangelo dal quale non ci si può in alcun modo scostare, ma ridicolizza anche il nuovo, il falso-nuovo, quello che si ciba di improvvisazioni che sono solo la materializzazione dell’incapacità di trasformare i sogni in spettacolo.
L’ultima dimostrazione in ordine di tempo è quella che offre, fino al 30 aprile, al teatro La Pergola di Firenze, dove con Lucia Mascino e Luca Pignagnoli porta in scena una delle sue più felici creazioni, Favola, sottotitolata c’era una volta una bambina, e dico c’era perché ora non c’è più.
Assoldarlo e dargli la possibilità di esternare la sua creatività è un rischio tangibile, per tutti quelli che sopravvivono salendo e scendendo dai palcoscenici. Filippo Timi è, contemporaneamente, un uomo, una donna , ma anche una trans; un santone della recitazione, un saltimbanco allo sbaraglio e se fate attenzione, anche un esattore delle tasse; un cantante, un ballerino e un improbabile reincarnazione di Bob Mc Ferry; un trasformista, un acrobata e un fiume puntualmente in piena, al di là che scorra o meno nella vallata esposta alla stagione delle piogge.
Ma è buono, Filippo Timi, e si accontenta di vincere, battendo per distacco tutti i concorrenti. Non vuole stravincere però, evitando così l’umiliazione degli altri, dimostrando che lui e il palcoscenico sono una stessa cosa; per questo, ad ogni sua creazione, offre titolo e trama, come se si potessero intravedere le coordinate dei suoi spettacoli: un inizio, uno sviluppo, un epilogo, con una trama che scorre dentro. No, tutto quello che racconta e che scrive attorno ai suoi spettacoli, è un falso, anche se d’autore, naturalmente. Timi può e fa veramente quello che vuole, ma riesce a dare libero sfogo a tutta la sua magniloquenza artistica solo e soltanto perché quando non si esibisce studia per come farlo. E’ un perfetto animale dello spettacolo, che conosce a menadito, ma senza averlo imparato a memoria, il proprio corpo e la propria anima e ai quali chiede sistematicamente tutto. E qualcosa in più.
Ha studiato nella scuola di Demetrio Stratos l’uso del diaframma; cita Pina Bausch (lo fa anche in Favola) per giustificare i suoi attacchi epilettici; esce ed entra nel suo corpo con una facilità camaleontica impressionante, mutando non solo nei gesti, nelle movenze e nell’abbigliamento i propri connotati genitali, ma sottoponendosi, con anestesia locale, a ripetuti interventi chirurgici, buoni a sottrargli quell’inutile peso e a renderglielo quando le cose mettono al peggio.
In Favola, che abbiamo potuto applaudire la sera del 21 febbraio, quella della prima di questa massacrante carrellata della Pergola che si concluderà giovedì 30 aprile, degno epilogo di un’altra stagione da incorniciare, Filippo Timi esaspera, per l’ennesima volta, tutto il proprio repertorio, mescolando, da navigato biscazziere, le carte sul palco, dove nella circostanza lui, Mrs Fairytale, e la sua inseparabile amica, una stratosferica Lucia Mascino (38enne, marchigiana, è un’altra meravigliosa creatura delle più giovane generazione di attrici, poliedrica e poliforme, adattabilissima al cinema come ai corto metraggi, esplode in tutta la sua creatività al fianco di Filippo Timi, del quale ne assume, con discreta capacità emulativa, gli aspetti più dissacranti e distonici), Mrs Esmerald, trascorrono le loro rispettive esistenze in attesa di scoprirsi amanti e amate l’una dall’altra: sono sposate con due uomini dei quali se ne può e deve fare a meno, ma invece che affrancarsi dal nulla entrambe, a modo loro, preferiscono aggirare i patemi e convivere con quello che la vita, nella sonnolente provincia americana degli anni 50, ha proposto loro, in una stagione che ha avuto i suoi tratti epici, da Doris Day a Kim Novak e il barboncino, impagliato e mummificato di Mrs Fairytale, dopo essere stato ucciso a pugni e calci da quel tenero del marito. Sullo sfondo appaiono tre fratelli gemelli, che sono sempre il giovane e atletico Luca Pignagnoli, un diversamente abile, un elettricista e un tombeur de femme.
Qui si ferma la verità e inizia a macinare spettacolo, risate e applausi a scena aperta, l’humus di Filippo Timi, che disarticola, con irritante naturalezza, l’intelaiatura della rappresentazione, alla quale fornisce una miriade di spunti che appartengono ad altri spettacoli, ma che fanno inscindibilmente parte dei suoi trascorsi, delle sue certezze e delle sue paure e per questo meritano un posto alla luce di potenti riflettori.
In sala, per questa prima fiorentina, oltre ad una moltitudine divertita, anche Gabriele Lavia – e il direttore artistico del teatro Manzoni, Saverio Barsanti, naturalmente –, uno dei pochi inattaccabili e imperturbabili mostri sacri del teatro italiano; chissà cosa ne penserà di questo suo figlio illegittimo, ma di sicuro, lo avrà divertito. Assai.