PISTOIA. Hanno aperto le porte della Saletta Gramsci di proposito, nel tardo pomeriggio. Volevano, Federico Tiezzi e la sua compagnia, che chi di dovere, la stampa, vedesse e raccontasse cosa c’è, davvero e dal vivo, dietro il Teatro Laboratorio Toscana sostenuto dalla Regione Toscana.
Fatica, abnegazione, esercizio, volontà, prove estenuanti. Dolore. Passione. Ognuno dei ragazzi-attori che ascoltano in religioso silenzio il verbo del maestro mette poi in pratica quello che crede di aver assorbito nel giro di un istante, quello che intercorre tra la fine della lezione e la sua messa in pratica. L’esercizio al quale abbiamo avuto l’onore di assistere è – senza conoscere nulla che lo ha preceduto e ignorando del tutto dove voglia poi dirigersi – si è concentrato sull’origine e la fine del mondo.
Un cinguettio, un ululato, un frastuono biblico, segno di risveglio e morte, nello stesso identico momento. Si sono disposti a circonferenza e, dopo le ultime raccomandazioni della professoressa del diaframma, hanno iniziato il canto. Una sequenza assordante, ma ritmica, una frenesia universale, ma umana, un rincorrersi frenetico di accidenti gutturali che potrebbero essere il segno dell’esordio, o quello della fine.
La differenza sta tutta nell’accezione di chi fruisce tali informazioni. Del resto, la filosofia che muove questa attività didattica – già sperimentata altrove, con successo – sta esattamente in questo pensiero: è una questione di connessione; ogni attore ha il dovere di esplorarsi, creando la propria prestazione attraverso l’esplorazione delle possibilità fisiche, vocali, logiche e l’aiuto, costante, di tutte le arti sceniche. Tecnica e pratica si realizzano e si universalizzano all’interno di ogni singolo interprete e solo quando è pronto per morire, può esibirsi.
Il professor Tiezzi è seduto lungo la prima fila di poltroncine della Saletta ristrutturata per le prove, non ancora per gli spettacoli. Prende appunti, guarda altrove, cercando anche lui, docente, di mettersi nei panni di un discente e capire se capire sia ancora possibile. O se ci siano altre fonti inesplorate. Dietro, Massimo Grigò, un attore sul quale il maestro Tiezzi ha sperimentato, per lunghi sette anni, tutta la sua meticolosa perfidia, forgiandolo. In fono alla saletta, il Presidente dell’Atp, Rodolfo Sacchettini, che si vanta, giustamente, di aver dato ospitalità e residenza a questo laboratorio, dal quale, con le ossa rotte, qualcuno uscirà più forte di prima. Invecchiato.
Il portone della Saletta Gramsci, dopo, si è chiuso. Gli invitati sono tornati ai loro gusci, provando a raccontare quello che hanno visto. Loro, Federico Tiezzi e i suoi giovani allievi, continuano a lavorare. Arriverà il giorno della prima, delle repliche. Federico Tiezzi fingerà di gongolare sull’allettante cuscino del frastuono degli applausi che verranno tributati al suo lavoro. Sono scrosci che non somiglieranno al verso di alcun uccello. Per questo, il regista, penserà che sia tutto sbagliato.
E ricomincerà. Daccapo.