PISTOIA. Inutile stare qui ad elencarli tutti, uno ad uno, gli artisti che hanno popolato piazza del Duomo, nel mese di luglio, dal 1980 ad oggi. Sarebbe sconveniente, perché senza l’ausilio degli elenchi dei gettoni di presenza, rischieremmo probabilmente di saltarne qualcuno. E poi, in che ordine dovremmo citarli?
B.B. King o Pat Metheny, Robben Ford o Frank Zappa, Carlos Santana o Steve Ray Vaughan? Quale per primo, quale per ultimo! La cosa strana è che questa manifestazione, nata Blues’In e proseguita, con oculata e spesso fortuita continuità, sotto il nome di Festival Blues, ce la invidiano in tutto il mondo. Altrove però, siamo sicuri, l’avrebbero gestita diversamente.
Basta pensare a quel che succede, da più di trent’anni, a Perugia e dintorni, ad esempio: Umbria Jazz non è soltanto uno dei fiori all’occhiello ideati e realizzati, ma poi contaminati e trasformati, senza perdere la propria identità, da quelle Amministrazioni. In quella Regione, durante la manifestazione artistica, c’è un intero tessuto collaterale e connettivale che esercita una benefica pressione su tutte le strutture, da quelle propriamente culturali che non possono non contemplare funzionamenti a catena, quali ristoranti, alberghi, mezzi di trasporto e soprattutto scuole, seminari, vere e proprie palestre per futuri musicisti.
All’amena e naturale piacevolezza del proprio paesaggio, l’Umbria ha saputo aggiungere caratteristiche e peculiarità che l’hanno ulteriormente innalzata ed impreziosita, dall’ultimo quarto del secolo scorso, attestandola tra le più floride e piacevoli realtà culturali italiane.
A Pistoia invece, da quel lontano 14 luglio 1980, primo giorno della prima edizione – semplicemente stellare – non è cambiato nulla: anzi, qualcosa di buono che sembrava coesistere e coabitare con l’evento di piazza del Duomo (Tito’s, su tutti), non esiste più, senza che nel frattempo si siano garantite alternative altrettanto consone. Per fortuna, con tutti i difetti che non ci siamo mai risparmiati di annotare e trascrivere, la gestione Tafuro è comunque riuscita a salvaguardarlo, questo Festival, che tra innumerevoli contrattempi, logici e naturali alcuni, pilotati e chirurgici altri, il prossimo luglio festeggerà i suoi 35 anni di vita e di concerti.
Ma al di là di qualche talentuosa eccezione (Nick Becattini e Sergio Montaleni), le centinaia di chitarristi transitati nella nostra città non hanno lasciato segni evidenti: albergano nel cuore e nella memoria delle migliaia di appassionati che hanno avuto il piacere di assistere alle loro performances, ma da quello storico ed indimenticabile fine settimana di luglio del 1980, a Pistoia, non è nata una scuola di bluesmusic, ma nemmeno di musica senza aggettivi qualificativi; nessun viottolo del centro è stato ribattezzato con le generalità di uno dei tanti musicisti che hanno immortalato, con la propria musica, piazza del Duomo (a Porretta, il parco centrale, in onore del soul, porta il nome di Rufus Thomas!), né esiste qualche locale che abbia deciso di chiamarsi con il nome e il cognome di una delle chitarre più leggendarie del Blues’In.
Il Festival, a Pistoia, è arrivato, 35 anni fa, come un fulmine a ciel sereno e ogni anno, con puntualità, seppur non sempre con abiti griffati, si ripresenta al pubblico, storicamente diviso tra neutralisti ed interventisti, proponendo il proprio repertorio, che equivale allo stesso fulmine a ciel sereno scoccato la notte del 13 luglio del 1980: da allora, la stragrande maggioranza dei pistoiesi, le sere del Festival chiude gli occhi, si tappa il naso e si mette i tappi alle orecchie, pregando il cielo che l’evento vada via il prima possibile.