giornalisti e verità. L’ITALIA DEL [DE]MERITO

La legge è disuguale per alcuni

UNA CARA AMICA, dopo aver letto giornalisti e verità. «non donna di provincie, ma bordello!», mi scrive: «Una demolizione totale del passato senza spiragli di speranza né un filo di Arianna da seguire!».

È vero, ma non è compito del giornalista scrivere con fini edificanti e consolatorii: il mondo che ci circonda è quello che è e non può cambiare, se gli uomini che lo guidano non sono di buona volontà, ma vanno lì come ci andarono i decantatissimi (falsamente) democratici ateniesi allorquando Armodio e Aristogitone, i tirannicidi, tolsero di mezzo il governo di Pisistrato e dei suoi discendenti: ci andarono per mettere le mani in pasta e per “nazionalizzare” le miniere d’argento del Laurio, proprietà del tiranno; quelle miniere private con cui Pisistrato aveva finanziato, di tasca propria, tutte le infrastrutture di Atene, dando pane e lavoro al proletariato e al sottoproletariato. E il primo provvedimento democratico fu quello di assegnare ai politici delle lautissime prebende d’oro.

Franco Bassanini

Dunque il giornalista deve riportare la verità che vede e non le speranze (quasi nessuna) che ha. E l’Italia, quella di cui stiamo parlando, è davvero un grande casino nell’accezione di dantesco bordello: cioè la prostituta dei poteri, di qualunque potere. E vediamo perché con alcuni esempi discesi dalla “ri[n]voluzione” di Mani Pulite.

BASSANINI E I SUOI MIRACOLI

Sfatta la Prima Repubblica, bisognava sfare anche le regole più sante e sicure. E così la trovata fu geniale: ogni Comune libero di scegliersi un proprio segretario comunale (a misura delle sue esigenze politiche e a sua immagine e somiglianza); di nome notaio del pubblico, ma di fatto “anguilla dello svicolamento”. Fior di quattrini sonanti come regalia, decine di migliaia di euro, ma veloce come un fulmine a mandare le questioni di lana caprina ad avvocati guadagnosi (non petalosi) pronti a prendere fior di parcelle pur di motivare le richieste (spesso oscene) del cliente.

Risultato: si finisce sotto inchiesta? Sì, ma se ne esce, perché è colpa del parere dell’avvocato, che, in quanto tale, può avere sbagliato, ma non può essere incolpato e spennato a dovere. E chi paga? Paga il popolo. Non so se sono stato sufficientemente chiaro.

Altra genialata di Bassanini: togliere un sacco di spese dalle mani delle giunte e affidarle a funzionari e dirigenti – non infrequentemente infedeli all’amministrazione stessa – e pronti a inanellare determine che, quanto a requisiti di legittimità e correttezza sotto tutti i profili legali, lasciano molto a desiderare. E con margini di decisione di scelta ampi, fino a decine di migliaia di euro, come fossero miglio per le tortore!

Una volta, quando l’Italia di Di Pietro era stupida e corrotta, tutto passava attraverso il Comitato di Controllo della Regione, e se l’atto puzzava di cacca, te lo rivedevi respinto o annullato per sempre. Oggi, con la democrazia liberale, avanti, Savoia! e il popolo paga.

LA SCUOLA DA BERLINGUER ALLA FEDELI

Luigi Berlinguer

Se non hanno fatto meglio i ministri della [d]Istruzione dei governi Berlusca, notevoli sono stati i progressi sotto Luigi Berlinguer che – se non lo ricordate, ve lo rammento io – vinte le elezioni contro il Cavaliere, urlò che la scuola sarebbe tornata alla meritocrazia, al voto serio e alla selezione. E fu talmente illuminato che previde un triennio di paga maggiorata (mi sembra di ricordare 2mila euro in più all’anno, ma posso sbagliarmi) per i docenti che mostravano particolari caratteristiche di profilo tecnico.

Mi fregai le mani, perché, con i libri che avevo scritto, sarei dovuto essere un docente ++ (plas plas come si dice ingleseggiando oggi) e prendere qualche soldo in più in nome del merito: e invece finì che i fondi stanziati furono spalmati (ve lo ricordate Shpalman di Elio e le Storie Tese?) su tutti: mi toccarono 110 euro una tantum, perché questa è la meritocrazia nell’Italia «non donna di provincie, ma bordello!».

Valeria Fedeli

E non parliamo dell’Università, dove il Luigi Berlinguer fece il miracolo della moltiplicazione dei pani, dei pesci e… delle cattedre. Nacquero perfino corsi di laurea di cucina e alimentazione (la Isoardi e la Clerici sarebbero potute diventarne certo delle meravigliose docenti ordinarie!), ma in compenso furono sistemati un sacco di cooptati (perché all’Università si entra solo per cooptazione, alla faccia del merito) di partito, di famiglia, di affinità, di razza e di religione. E così è se vi pare. Un giorno vi racconterò di due concorsi universitari vissuti in prima persona. Un giorno.

Poi la scuola italiana conobbe la mano salvifica della Fedeli, laureata in bufale, perlopiù semianalfabeta, ma rossa fino nei capelli e fedelissima del Senatore di Firenze: e successe alla guida della [d]Istruzione a Stefania Giannini, ordinaria alla Stranieri di Perugia e in ogni caso Prof. Un assoluto miglioramento sulla via del [de]merito a partire da Giovanni Gentile.

LA LEGGE NON È UGUALE PER TUTTI

Si racconta che in aula un imputato, sul punto di riceve una condanna, rilasciando le sue ultime dichiarazioni, avesse affermato che la legge non era uguale per tutti: «Perché noi la guardiamo di fronte, mentre voi, giudici, le voltate le spalle».

Questo l’aneddoto: ma che pensare di una categoria alla quale fu moltiplicato all’improvviso lo stipendio negli anni 70 perché non corresse il rischio di farsi corrompere?

È una motivazione valida, secondo logica e buonsenso, parametri del diritto? Ed è normale che un giudice, che in cinque anni di aula aveva fatto una ed una sola sentenza, fosse mosso da un tribunale a un altro, salvo poi essere riportato al punto di partenza dopo un po’ di tempo, senza scossoni di carriera perché le carriere si sviluppano in automatico a prescindere dai risultati ottenuti sul posto di lavoro? Eppure sembra proprio che sia successo; e anche vicino, tra Firenze e Pisa!

Veronica Gentili

Ed è uguale per tutti una legge che vede i cittadini soggetti alla responsabilità civile e i giudici assolti da questo dovere di uguaglianza a quel popolo nel cui nome pronunciano ogni sentenza? Perché il popolo deve pagare, oltre ai propri, anche i loro errori? E perché a dei fedeli servitori della legge si deve lasciare il privilegio della discrezionalità? Dove c’è discrezionalità, non c’è forse il rischio che ci sia anche abuso di potere?

Ma il top si raggiunge – tanto per non essere partigiani o comunque tacciati di partigianeria – nella commissione di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti, nella quale il presidente può «autonominarsi» responsabile di un procedimento disciplinare.

Anche a essere profondamente credenti, cosa ne pensate se il Cardinal Decano si alzasse e, morto un papa, si autonominasse papa impipandosene del conclave?

Vi piace questa Italia-bordello? E allora… cioccàtevela, cioè beccatevela, come direbbe nel suo slang la provocante Veronica Gentili.

E buon [de]merito a tutti!

[Edoardo Bianchini]


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