«Le tartarughe si distinguono come animali ancestrali e hanno un vizio: insistono sempre nelle loro convinzioni. Tanto che, se decidono di sbattere nello stesso angolo per passare in una strettoia, finiscono perfino con il rompersi il carapace (il guscio), ma non demordono…»
O Muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate…
Cosa meglio di un uomo che può radersi
guardandosi in viso senza tremare?
Inaspettatamente stamattina La Nazione, da Montale, a firma di Giacomo Bini ha pubblicato la notizia del paradosso di Zenone: quello di Achille e della tartaruga, in cui il piè veloce eroe non raggiungerà mai la tartaruga che gli scappa di sotto il naso perché è partita prima di lui.
Mi spiego meglio. Gli attori, in questo paradosso sono tre: il luogotenente Sandro Mancini, che chiamerò la tartaruga, perché – come nel paradosso zenoniano – partì per primo non lasciandosi mai condizionare dall’arroganza dei giudici di gara, talmente noti da non aver bisogno di essere rammentati, essendo essi i vertici della procura.
Le tartarughe si distinguono come animali ancestrali e hanno un vizio: insistono sempre nelle loro convinzioni. Tanto che, se decidono di sbattere nello stesso angolo per passare in una strettoia, finiscono perfino con il rompersi il carapace (il guscio), ma non demordono. Proprio come Sandro Mancini che mai si arrese agli dèi e ai supra-dèi della procura: per lui prima veniva la legge e poi (a volte anche molto poi) gli uomini, non di rado indegni, del potere.
Il piè veloce Achille è l’epiteto che merita a pieno titolo la stampa organica pistoiese. Essa parte sempre a corsa: non per raccontarci e descriverci la sostanza del potere che fa vergognosamente quello che vuole in questa Sarcofago City; ma per addomesticarci alle fiere dei poponi e dei cetrioli, dei fiori di zucca fritti con l’acqua e – con un pizzichino di “morbillo” da voyeur – per parlarci della gioventù bruciata di Pistoia che s’intrattiene nei vicoli, a notte, perché non ha altro luogo dove andare a scopare. Ovviamente non con il senso liberatorio degli hippy di una volta, ma con la squallida e minimale lussuria dei cani. Tutti sanno bene di cosa stiamo parlando.
Giacomo Bini, persona che stimo retta onesta, competente e di buona volontà, lo separo dalla figura di Achille che non raggiungerà mai la tartaruga-Mancini.
Achille, in questo caso, è la stampa organica che, finito l’inchiostro, al momento in cui Sandro Mancini fu trascinato in tribunale perché non credeva, non obbediva e non combatteva perché non intendeva piegarsi alle piroette della procura, essa stampa organica si eclissò dall’orizzonte e non scrisse una riga sull’aggressione alla fortezza inespugnabile della moralità di quel carabiniere, nipote di carabiniere, fermo nelle sue posizioni legalitarie e socraticamente pronto a dover più rispetto alla legge che alle «autorità costituite» del terzo piano della casa dalle finestre che ridono.
Se Alessandro Galardini – professore, educatore, assessore, spregiatore delle forze dell’ordine… – avesse masticato, nel corso della sua vita, meno vanvera di politica e più attenzione alla realtà, avrebbe saputo e compreso che l’alzata di scudo di Mancini contro la sua affermazione bestiale «le forze dell’ordine e’ son fascisti», veniva da un uomo tutt’altro che fascista, datoché non si era piegato all’ideologia de potere sinistro di un procuratore che, unico esempio in Italia, fu poco dopo deposto dal Csm: il motore del sistema-Palamara, cioè della copertura e della negazione anche dell’evidenza – e in termini non altrimenti definibili che dubbi e/o mafiosi.
Più grave, a nostro avviso, che il suo avvocato, Giovanni Sarteschi, non gli abbia detto – a Galardini, l’antonomastico antifascista – di stare buono e di mantenere, sul fatto, un basso profilo di quelli molto apprezzati, anche, dal deposto Dell’Anno & aiutanti.
Ma assolutamente osceno, irriverente, irricevibile, censurabile, disumano e vergognoso, bastonabile/bastonabilissimo (per chi cammina con 4 zoccoli, è citazione manzoniana) quel decreto penale emanato «ad mentulam canis» o à putain de chien, sulla presunzione di chi, digiuno in assoluto d’italiano e di linguistica, quanto pieno di boria e presunzione, ha provveduto (con lo stesso piacere morboso dei pistoiesi di dentro-le-mura, che si sono fatti, magari, risate e perfino seghe sul filmino dei due giovani cani nei vicoli vicini al tribunale); ha provveduto a schiaffeggiare il Mancini: un gran bell’esempio di nazista, di quelli che si vedono, spesso e volentieri, nei film della shoah.
E torno agli Achille che, quando Mancini fu processato da Dell’Anno & C., furono avvisati – così si dice, ma ne abbiamo la prova… occhio! – dalle «autorità costituite» della Gip Patrizia Martucci che, se avessero osato scrivere una sola riga di quello che accadeva in aula, non avrebbero ricevuto più imbeccate/imboccate dagli uffici procurali, in tutto il resto della loro vita.
A casa mia, anche a Lecceto dove un ragionier non-dottor domina forse perché è Ctu del tribunale e non ignoto a chi lo caldeggia perfino contro l’evidenza dei fatti; a casa mia queste mosse non sono come quella di Ninì Tirabusciò, ma somigliano a quelle dei casalesi o della ’ndrangheta o della Sacra Corona Unita.
Ecco perché allora, al momento della persecuzione di Mancini da parte della procura, solo noi, all’epoca giornalisti ma, come Mancini, con la testa di tartaruga, scrivemmo tutto e ci inimicammo il terzo piano della casa dalle finestre che ridono per il resto dei nostri giorni.
È per questo che basta uno stronzo qualsiasi che scrive una stronzata qualsiasi, e immediatamente c’è un Curreli che ci dà di stalker, minacciatori seriali, estortori, violentarori privati, calunniatori e tranne (ma solo forse) che froci, anche tutto il resto delle previsioni del codice penale.
Forse a Pistoia la civiltà giuridica e la giustizia (?) sono queste: tutti superfascisti prima del maresciallo Badoglio; tutti supercomunisti due minuti dopo. A secco e senza soluzione di continuità. E tutti pronti a chinare la testa a questa «ideologia dell’obbedienza» perché… le «autorità costituite» hanno sempre e solo ragione. Un corno, scusate!
È possibile dover ingoiare, e proprio dalla procura, rospi grossi come tori da monta? Ed è possibile che io debba essere condannato come un delinquente comune e seriale quando, come Sandro Mancini, anche io sono semplicemente «vittima di stalking giudiziario» da parte di chi, esperto linguista, pur non capendo l’italiano, fa l’esegeta delle frasi e del pensiero altrui perché, in proprio, non sa fare altro che danni illogici, illeciti, illegali, arbitrari e, insomma, un’infinita serie di crimini contro l’umanità?
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]