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QUARRATA. Non è ancora terminato ma già un primo stralcio del resoconto-inchiesta “Giovani, nuovi migranti nella Piana” è stato inviato al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi perché valuti con attenzione il problema del lavoro per i giovani e i meno giovani.
Si parla di storie, di persone, del loro stato psicofisico, del loro stress, delle loro aspirazioni, di esperienze lavorative fatte sia in Italia che all’estero. Un lavoro – per il momento limitato ma che sarà ampliato e sviluppato – in cui emerge la voglia dei giovani di oggi di andare all’estero per un periodo limitato per poi tornare, con l’esperienza fatta, a lavorare in Italia. Non come i migranti di una volta che partivano per sempre lasciando alle proprie spalle una Italia immersa nella grande crisi.
L’inchiesta è stata promosso da Daniele Manetti del Gart-Gruppo Accademia Regione Toscana e rappresentante dei Comitati Civici della Piana.
“Partendo da mio nonno Gino Manetti (emigrante) – afferma – abbiamo raccolto la storia di alcuni giovani con le testimonianze sul lavoro nella Piana Pistoiese. Un resoconto che ha come simbolo la fotografia di una ragazza, Valentina Gori, che ha con sé una valigia legata con il liccio”.
“In questi giorni – si legge – ho ritirato fuori le valigie di cartone da emigrante di mio nonno e le ho date a Valentina e insieme abbiamo fatto una foto che cercasse di rendere l’idea… Con le valigie legate con il liccio, mio nonno, dopo aver fatto la guerra 15-18, emigrò in Svizzera per fare il lavoro di carraio. Infatti dopo il 1920 – periodo della Grande Crisi – in Italia non si trovava lavoro e anche allora lo Stato non fornì nessun aiuto per rimanere sul nostro territorio e la miseria e la disoccupazione salirono a livelli record. Per mio nonno lasciare la nostra piana quarratina fu una tragedia e fece di tutto per ritornare velocemente in Italia. Quante volte me lo ha raccontato…”.
“I giovani – continua Daniele Manetti – desiderano che le loro problematiche siano conosciute e portate a conoscenza. Durante i nostri sopralluoghi fatti sull’ambiente nella nostra piana ci hanno chiesto di interessarci anche al gravoso problema occupazionale. Quindi nella nostra inchiesta si è partiti dalla fotografia di Valentina Gori, con le valigie di cartone, che si crede già una migrante, a caccia di un sogno che non si sta avverando. Anche lei cerca di sopravvivere e di lavorare nella nostra piana quarratina e dopo aver aperto un’attività (il bar SiCaffè – n.d.r.) ha trovato moltissimi ostacoli ma continua a lottare nella sua Quarrata. Con coraggio e determinazione combatte contro la burocrazia e tutti gli ostacoli che ogni giorno si trova ad affrontare per gestire al meglio il suo Bar. Non è il lavoro dietro il “Bancone” che la spaventa e fa di tutto ed instancabilmente per esaudire i suoi clienti fornendo ottimi aperitivi, dolcetti, salatini, caffetteria di tutti i tipi, cercando di rinnovarsi continuamente”.
Lei, la ragazza simbolo con la “ Valigia legata con il liccio” non ha nessuna intenzione di andare all’estero. Vorrebbe però essere tutelata adeguatamente dallo Stato e poter dare il proprio contributo per far ripartire il nostro Paese; essere fulcro per la ripresa e poter guardare finalmente ad una economia rispettosa dei problemi sociali e dell’ambiente. Grazie alle testimonianze raccolte nella Piana Pistoiese si parla di giovani e meno giovani in cerca di lavoro, di esperienze all’estero e in Italia; di lavori veri , lavori precari e lavori non riconosciuti”.
Ecco di seguito alcune testimonianze inserite nel resoconto-inchiesta:
Daniele Franchi (Esperienza americana)
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Mi chiamo Daniele Franchi e sono un docente di Storia dell’Arte e Lingua e Cultura Italiana presso l’istituto internazionale Lorenzo de’ Medici di Firenze, che è sede di programmi di università americane in Italia, i cosiddetti “Study abroad” (http://www.ldminstitute.com/).
Mi sono laureato nel 2004 in storia dell’arte all’università di Firenze e quasi per caso ho subito cominciato a lavorare per vari programmi di università statunitensi nel capoluogo toscano. Nel 2009 ho avuto l’opportunità di partecipare ad uno scambio internazionale per docenti in quanto l’istituto per cui lavoro mi ha selezionato per andare in America per un anno accademico ad insegnare lingua e cultura italiana all’Università del North Carolina, a Chapel Hill, una delle più antiche e prestigiose del paese (http://www.unc.edu/).
Ho accettato immediatamente l’idea di un anno all’estero in quanto ero un po’ saturo e stanco della situazione lavorativa italiana e avevo bisogno di aria nuova. Espletata tutta l’immane burocrazia sono partito per l’America all’inizio di agosto del 2010, e ci sono rimasto fino a giugno 2011.
Nonostante un arrivo un po’ scioccante, mi sono presto ambientato in questa piccola cittadina del North Carolina con un Campus universitario immenso e veramente bello.
Il ricordo più piacevole che mi porto dietro è la gratificazione avuta per il lavoro svolto, sentivo che la mia figura di insegnante era veramente apprezzata e la mole di lavoro rispettava la tipologia di lavoro che dovevo svolgere all’università, avendo tempo non solo per le lezioni e i ricevimenti con gli studenti, ma avevo spazio anche per le mie ricerche e per l’organizzazione dettagliata della didattica.
Sicuramente i risultati didattici sono stati molto soddisfacenti e soprattutto mi sono sentito cresciuto in quanto potevo svolgere il mio lavoro in totale tranquillità senza pensare continuamente alla precarietà lavorativa che invece in Italia sentivo.
Come insegnante e come individuo sono cresciuto umanamente e professionalmente, e per questo non posso che dire grazie per l’opportunità avuta, ma al momento di scegliere se restare o tornare in Italia non ho avuto dubbi. Quello non era il mio posto, non era il mio stile di vita e soprattutto – dicevo sempre – “i miei occhi hanno fame di altro”.
Alla fine del mio percorso americano, dopo aver ben compreso il loro sistema, avrei avuto modo di restare, anche perché era molto più semplice cercare lì un lavoro con le mie referenze; ma non si sceglie sempre guardando il portafoglio e la carriera, ed infatti io ho scelto ascoltando il cuore. In America mi sarei sempre sentito uno straniero, e soprattutto volevo usare la mia professionalità nel mio Paese. Inoltre avevo proprio voglia di investire nel mio paese il nuovo bagaglio umano e professionale che mi portavo dietro.
Il rientro in Italia è stato un po’ traumatico, in quanto l’America, nonostante i mille difetti che gli ho trovato, riesce a darti una carica ed una spinta che non ha pari… Per fortuna non dovevo cercarmi un lavoro, perché sono rientrato nel mio Istituto, quello che aveva sponsorizzato la mia candidatura per il lavoro in North Carolina, e finalmente ho avuto un incarico a tempo indeterminato.
Quindi ho continuato a lavorare sempre nel sistema statunitense a Firenze, anche perché l’alternativa italiana non esisteva. Mi piacerebbe moltissimo poter usare la mia preparazione per studenti italiani, ma purtroppo non posso permettermi di bloccare la mia vita e lavorare quasi gratuitamente per costruirmi una posizione nel sistema educativo italiano. Comunque ho cercato di sfruttare le mie capacità collaborando con l’Associazione Culturale Tagete di Quarrata, con la quale organizziamo corsi, visite e gite alla scoperta del nostro straordinario patrimonio culturale, oltre a curare la didattica in Villa la Magia nella mia Quarrata. Questo è stato un modo per non scollarmi completamente dal mio territorio, poichè il mio lavoro spesso mi porta distante dalla mia realtà e, anche se non fisicamente, dal mio Paese.
Tuttavia l’esperienza all’estero mi ha dato tantissimo, mi ha messo a nudo e mi ha permesso di rimettermi in discussione e penso che sia stato uno degli step più importanti della mia vita. Rifarei quell’esperienza altre mille volte, ed anche se in dei momenti mi chiedo “ma non avrò sbagliato? Avrei dovuto prendere quel treno e provare una carriera in America?”, sono molto convinto della mia scelta di tornare, anche perché non possiamo scappare tutti.
L’unica cosa che mi rammarica è che la nostra istruzione pubblica investe nella formazione di persone che poi non vengono “usate” e si preferisce che lascino il Paese… Conosco molte persone, menti brillanti, che hanno preferito spostarsi all’estero non vedendo un futuro in Italia. In America ho conosciuto moltissimi italiani che ormai vivono e lavorano lì, e sinceramente non me lo aspettavo, pensavo che il fenomeno fosse più contenuto, e questo non è certo il risultato che dovremmo ottenere o sperare.
Arianna Baldi (Coop Sociale Integra)
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Mi è stato chiesto di scrivere poche righe sul pensiero mio, sia come Arianna (una cittadina di Quarrata), che come rappresentante della realtà che a Quarrata esiste da 5 anni e che cerca di farcela, nonostante l’aridità del terreno che la circonda (Coop Sociale Integra)…
Un pensiero, messo assieme a quello di altri quarratini più o meno impegnati nella cura del proprio territorio, del proprio Paese, sulle prospettive dei giovani qui in Italia e su come la penso sulle opportunità che trovano altrove… Beh, dico che credo “plausibile” che un giovane, con doti e capacità acquisite, cerchi l’opportunità di esprimerle magari dando un contributo importante… e trovo plausibile che lo faccia altrove se non trova spazio qui… ma imperdonabile che lo si consenta.
Imperdonabile lasciar andare talenti e risorse preziose poiché questo paese ha dato spazio illimitato ad occupazioni improprie ed illecite (ma risultate “utili”) che, senza bisogno di tante statistiche o ricerche sul fenomeno immigrazione-emigrazione, è normale abbiamo generato un esplosione.
Da parte nostra, come ancor piccola cooperativa, ci stiamo provando ad affermare il lavoro pulito e corretto mantenendo ad ogni costo (ed il prezzo è alto) quell’Integrità che consente di affermare questo pensiero, quello di giustizia…! E come Arianna, nonché presidente di una realtà che mi assomiglia, il pensiero che rivolgo a un giovane che vuole andarsene dal suo paese è il medesimo, e gli direi di rimanere, ma non inerme!… Perché quei fili d’erba che di tanto in tanto si vedono spuntare dal cemento si espandano… e diventino prati su cui nuovamente poter coltivare buoni frutti.
Lucarelli Niccolo (Esperienza italiana)
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Le responsabilità dell’attuale recessione mondiale non sono ovviamente imputabili alla politica italiana, tuttavia è ormai palese come certi vizi strutturali ne abbiano, in Italia, aggravati gli effetti: un’eccessiva tassazione del lavoro, che mette fuori competizione la manodopera nazionale rispetto a quella estera, favorendo così le delocalizzazioni, e disincentivando le assunzioni in Italia; l’assenza di meritocrazia, di modo che i meccanismi occupazionali della Pa, in particolare settori chiave come l’insegnamento universitario, la ricerca scientifica, le dirigenze tecniche, sono regolati da logiche clientelari, o di parentela; infine, una quasi totale mancanza di ricambio generazionale, che ha portato la disoccupazione giovanile ad attestarsi oltre i 40 punti percentuali, dovuta a una mentalità lavorativa che è la fotografia della distanza creatasi fra le generazioni. Se cento anni fa, le giovani generazioni si sacrificarono per completare l’Unità d’Italia, a distanza di un secolo le giovani generazioni sono sacrificate dalla politica italiana, perché private di un futuro, della possibilità di costruire una vita dignitosa basata sul lavoro, come del resto parrebbe affermare la stessa Costituzione.
Parole, che non trovano conferma nell’agire quotidiano; il tanto declamato Jobs Act ha portato soltanto, di fatto, una stabilizzazione dei vecchi contratti nella PA, e non ha costituito uno strumento per le assunzioni giovanili. E da parte loro, i giovani sopravvivono, quando va bene, fra contratti a termine, lavoro nero, ed esperienze all’estero (quando si ha la possibilità di viverle, perché comportano comunque dei costi, sia economici sia morali), senza intravedere nel futuro un minimo di stabilità. Quanti giovani ingegneri, ricercatori, docenti universitari, medici, si trovano chiusa la porta dalle logiche clientelari che favoriscono l’amico dell’amico, ignorando la meritocrazia?
Quanti giovani laureati potrebbero lavorare, se si avesse il coraggio politico di licenziare le vecchie, spesso incompetenti figure, che hanno ottenuto un posto solo perché amiche di? E ancora, quanti giovani di buona volontà, desiderosi di sviluppare un’idea, trovano insormontabili difficoltà nella burocrazia, nel rifiuto di credito da parte delle banche, nella tassazione soffocante?
Una situazione, questa, indegna di un Paese civile, che sta di fatto abbandonando le sue giovani generazioni, preoccupandosi di difendere soltanto i privilegi delle solite caste. Eppure, fra mille difficoltà, sono tanti i giovani volenterosi, che riescono, in totale autonomia, senza poter contare sull’aiuto di nessuno (se non della famiglia), a inventarsi un qualche tipo di attività, ma sempre alla giornata, senza la certezza di esserci ancora il mese successivo. Ma, nonostante tutto, proseguono con coraggio sulla loro strada.
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