I signori della Procura di Pistoia mi hanno bollato in partenza, come già colpevole di lesa maestà, perché ho osato alzare il capo e dire (beninteso con pezze d’appoggio ufficiali: contratti, regolamenti, leggi e non caramelle alla frutta Sperlari) che il re era nudo; che a Quarrata c’era e c’è chi può permettersi tutto e chi deve tutto subire. Io non ci sto: lo aveva detto anche quell’antipatico di Scalfaro, pure lui giudice e della Repubblica di Salò
Non intendo cambiare la mia vita per colpa di un ragioniere
TRA LA COSTITUZIONE E LA LEGGE C’È DI MEZZO
IL “POTERE DISCREZIONALE” DEL MAGISTRATO
COSÌ LA DEMOCRAZIA È UNA EMERITA FAVOLA
NON SONO un salviniano. Non lo sono mai stato e non lo sarò mai, devo però riconoscere che di cose sagge e vere ne ha dette anche lui.
La più saggia, che gli ho sentito uscire di bocca quando non si attaccava al rosario, è stata l’espressione del suo giudizio critico nei confronti della magistratura: «“Difenderò qualunque leghista indagato da quella schifezza che si chiama magistratura italiana, che è un cancro da estirpare”. In quella stessa occasione, Salvini apostrofò i magistrati con parole quali “stronzi” e “lazzaroni che rompono le palle alla Lega”, definendo la magistratura italiana “una schifezza”». Un’accusa da cui Salvini è stato assolto.
Se andate a rivedere e e rileggere tutti gli articoli, da me scritti dal luglio dell’anno scorso ad oggi, sul tema Perrozzi-Montalbano-Comune di Quarrata e favoritismi a cittadini di serie A, non troverete una sola espressione del tipo stronzi, lazzaroni che rompono le palle, schifezza. Da nessuna parte.
Eppure i signori della procura di Pistoia mi hanno bollato in partenza, come già colpevole di lesa maestà, perché ho osato alzare il capo e dire (beninteso con pezze d’appoggio ufficiali: contratti, regolamenti, leggi e non caramelle alla frutta Sperlari) che il re era nudo; che a Quarrata c’era e c’è chi può permettersi tutto e chi deve tutto subire. Io non ci sto: lo aveva detto anche quell’antipatico di Scalfaro, pure lui giudice e della Repubblica di Salò.
Ci ha pensato, senza troppo pensare, il signor Claudio Curreli, già noto per altre brillanti soluzioni in un altro famoso processo per violenza carnale più o meno costruita.
Lo ha seguito, senza troppo pensare, la signora Patrizia Martucci; li hanno sostenuti, senza troppo pensare, un signor Tommaso Coletta, che si professava dator di voce a chi non ce l’ha (scrisse la stessa cosa anche un giornalista, Alberto Vivarelli, quando aprì ReportPistoia), che però, in realtà, ha finito per togliere la voce a chi, come me, non solo la aveva, ma aveva ed ha anche la ragione documentale dalla sua parte; e, insieme a lui, anche il signor Giuseppe Grieco, noto per il gran polverone – poi sgonfiatosi a soufflé – degli Untouchables. Nel frattempo c’è ancora gente che aspetta di poter riprendere possesso dei propri denari bloccati sotto sequestro in banca.
Allora, stamattina, quando ho letto la predica di Alberto Vivarelli su Roberto Riccomi e Piero Giovannini, mi sono fatto – e scusatemi se è poco – un sacco di risate alla faccia dei giornalisti pistoiesi che prèdicano ma non predìcono: nel senso che fanno i moralizzatori con la frusta in mano, ma in realtà, sotto lo scudiscio del Gott mit uns, è gente vestita – come un prete pistoiese beccato da un suo collega scandalizzato – con guêpière leopardata, calze a rete, vestaglia leopardata e (perfino) Mochi Vileda e spazzettone leopardati: eroi da Niebelungenlied dal pulpito domenicale e (sotto la corazza) signorine della strada a luci rosse di Amsterdam.
Con il suo felpato tocco di giornalista ben integrato e funzionale al sistema (la struttura dell’informatore è quella dell’antico addetto stampa di regime, che magari aveva, per lealismo al Pci filosovietico, perfino una foto di Togliatti sulla sua scrivania in Comune), Alberto Vivarelli, con il suo “pezzullo” alla Crema Nivea, ha frustato i magistrati pistoiesi e tuttavia non con un gatto a nove code, ma con una in-profumata orchidea: solo apparenza e niente contenuto.
Il giornalismo non è questo. E non è neppure senso civile. E non è nemmeno senso dell’onore di colleganza, così caro ai giornalisti integrati dell’Ordine di Firenze, tutti difensori del partito di regime: e quando vedi che una persona onorevole come chi scrive (perché tale io sono a dispetto di tutti) viene bastonata e legnata a morte, come mi hanno fatto Curreli, Martucci e compagnia, con limitazioni della libertà e perfino gli arresti domiciliari per 104 giorni, senza un motivo serio (perché tutti sanno che io scrivo dando sempre le prove in documenti e atti ufficiali); quando tutto questo, e tu – non solo Alberto Vivarelli – ma tutti gli ex colleghi di Pistoia e di Firenze – non alzi un dito e ognuno guarda di qua e di là, per fare finta di nulla, checché ne dicano l’Anpi, la giunta di Quarrata dell’Anpi e perfino una sardina quarratina loro grande sostenitrice, allora significa che il regime, la dittatura, il conformismo del paté di cervello, la Turchia sono giunti all’apice dell’essenza e che è l’ora di demistificare il parassitismo canceroso di questa società in cui si invoca il giusto processo – come fa Vivarelli, evitando accuratamente di analizzare il fenomeno come deve essere analizzato e studiato.
E il metodo deve essere quello del realismo, non delle frittelle zuccherate di San Giuseppe: cioè che non esiste la magistratura, ma esistono i magistrati; che i giudici non sono soggetti solo alla legge, come da Costituzione, ma fanno, non di rado, come vogliono a loro piacere ed arbitrio; che non sono terzi e imparziali, ma spesso sono primi e secondi e parzialissimi nei confronti di molta gente che o conoscono o ritengono migliore (non voglio saper perché) di noi che ne siamo vittime incolpevoli e innocenti – perché tale io mi sento di essere.
Se non è reato dire che la magistratura è un cancro da estirpare, ancor meno reato, in virtù della libertà di espressione e di critica, sarà dire che gli uomini che vestono quella toga (nel Manzoni si chiamano “notai criminali”), hanno gravissime colpe che, realizzate da loro, non possono essere ritenute colpose, ma dolose, dato che non possono ignorare la legge.
Alberto Vivarelli si chiede il perché di certe disposizioni inapplicate come i rinvii quasi sine die. Faccia un piccolo sforzo in più e si domandi, da vero giornalista, come mai il signor Claudio Curreli, nel mio caso specifico, non ha fatto uno straccio di indagine uno, ma si è limitato a un mero e sciocco copia-incolla delle lagnanze di un privilegiato quarratino; come mai è venuto meno al suo preciso dovere di inquirente, saltando a piè pari il disposto di cui all’art. 358 del codice di procedura penale: «Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Per me (ma per chissà quanti altri come me) questo non è stato assolutamente fatto: terzietà e imparzialità? Dove?
Parlare dei morti con le lacrime agli occhi è cosa facile. Meno facile assai fare informazione seria e documentata; ma soprattutto “terza e imparziale” come dovrebbe essere l’opera dei signori magistrati che noi paghiamo e non a spiccioli.
La Comunità Montana, gli Untouchables, la storia (direi immonda) del luogotenente Sandro Mancini e, ora, questa commedia dell’arte recitata a soggetto per chiudermi la bocca, la bocca di me scrittore del vero e non delle orchidee e delle Creme Nivea, dei guanti di velluto e degli inchini a dei leoni che lasciano indisturbate le prede grandi per inseguire una lepre: sono tutti esempi di un malcostume che afferisce agli uomini e non alle istituzioni in sé e per sé.
Nessuno dei giornalisti pistoiesi (ma anche fiorentini) ha il minimo diritto di parlare di mala giustizia o cose simili; hanno la schiena piegata al potere, anzi: a quel potere che, per fare il proprio piacere, ha perfino silenziato la vicenda Mancini, di cui solo io ho parlato con il mio giornaletto pericolosissimo, che lo scorso anno ha avuto uno sfoglio di oltre 2 milioni e mezzo di pagine. E potrebbe essere anche questo un motivo per non essere gradito alla procura pistoiese – magari un giorno vi racconto anche la mia esperienza con il signor Paolo Canessa…
Cari ex-colleghi dell’informazione, la gente – a parte quella come voi – è stufa delle sagre dei ranocchi all’Anchione e del castagnaccio a Piteccio. Questa gente – la gente comune che il signor Coletta voleva aiutare… – ha le palle piene di voi e delle vostre palle. Adopero le espressioni di Salvini già scriminate dal giudice: perciò nessuno… rompa le palle.
Non fate come i giudici che, non di rado, non leggono una riga di niente di ciò che gli capita a tiro, ma, con la prosopopea dei cattedratici della Crusca, decidono a piacere di ciò che è o non è offensivo a seconda dei casi e delle persone.
Di preti ne abbiamo fin troppi in giro, a iniziare da Piergiorgio Baronti (tutto, a mio avviso, fuorché prete; pubblico bestemmiatore e aggressivo, ma difeso da Curreli & C.). E troppe sono anche le monache della cultura santificata della sinistra.
Concludo con un semplicissimo augurio: che i cronisti e gli informatori vengano presi – un giorno o l’altro – “a capocchia” e messi agli arresti domiciliari per 104 giorni come al tempo di Edmond Dantès.
Ma sono uno sciocco: a voi non può capitare. Capita solo a chi ha la schiena troppo diritta.
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
La Resistenza
ha fallito in pieno
Il cittadino non deve azzittirsi dinanzi al magistrato in quanto tale: ha diritto di esprimere liberamente le proprie idee e, oltretutto, la giustizia dovrebbe essere amministrata in nome del popolo italiano di cui il cittadino fa parte.