FIRENZE. La polemica sulle formule disponibili per la soluzione dei gravi problemi che affliggono la giustizia è lontana e fatta di varie proposte: chi ritiene di dover modificare le procedure, chi di dover sferzare i magistrati accusati di non lavorare in modo adeguato.
Altri lamentano una massiccia litigiosità degli italiani che sarebbero tali da esacerbare le liti in giudizio e poi in appello, immotivatamente, pur di resistere nei pagamenti delle somme dovute.
Noi non avevamo conoscenza che esiste un articolo del Codice di Procedura Civile che potrebbe funzionare davvero da panacea: l’articolo 96 recita infatti che «Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede e colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna oltre che alle spese al risarcimento dei danni (2043 e ss) che liquida anche d’ufficio nella sentenza».
La sentenza a cui facciamo riferimento è recente e illuminante: vede la parte attrice pesantemente condannata perché riconosciuta litigiosa e temeraria. Ricco il risarcimento “riconvenzionale” concesso dal Giudice al convenuto che ha dovuto esporsi in un gravoso giudizio e sostenere delle spese per la tutela delle sue lampanti ragioni.
Esso vede oggi riconosciuto il risarcimento per i danni morali che ha sopportato a causa dell’azione legale ingiusta, vessatoria e temeraria. Speriamo che questo nuovo criterio sia sempre di più applicato dai magistrati e che risulti utile a alleviare i problemi dell’affollamento delle aule dei tribunali.
[Alessandro Romiti]
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