PISTOIA. L’occasione per restare lontano dalla melma della demagogia era una di quelle da prendere al volo: nelle sale affrescate di Palazzo di Giano, oggi pomeriggio, si è inaugurata la mostra fotografica di Lorenzo Gori sul Festival Blues negli ultimi venti anni. Vero, il Blues’In nasce prima, ma Lorenzo Gori e i suoi scatti piombano sulla manifestazione quando il fotografo viene assoldato dalla redazione pistoiese di Il Tirreno.
Sulle pareti però non ci sono gli artisti, se non qualche eccezione (B.B. King, David Bowie e Skin, con Gabriele Acerboni, sullo sfondo della vocalist degli Skunk Anansie, giusto tributo di Lorenzo Gori al collega Gabriele Acerboni, da lui alfabetizzato alla professione), ma i protagonisti di quelle edizioni: il pubblico, nelle sue più variopinte sfumature, colto in momenti ed espressioni che spesso, in redazione, nessuno ha mai dato il giusto peso.
Non sono foto-notizie, sono foto-storie e la storia, per farsi notizia, ha bisogno di tempo, quello che Lorenzo Gori si è preso nel farle, quelle foto e poi conservarle lì, in un angolo, in un suo angolo: questione di memoria, questione di feeling.
Il suo archivio, da oggi, è diventato pubblico e per tutta l’estate, quegli scatti saranno lì, a disposizione dei curiosi che potranno forse capire, da quei fermo immagine, cos’era il Festival, cosa è diventato e cosa diverrà.
Ci sono baci interminabili; bancarelle variopinte; figli dei fiori che provano a spiegare ai loro piccoli come potrebbe andare la vita, ma non andrà mai; i cani della narcotici che annusano gli spettatori a caccia di un po’ di fumo, mentre poco più in là si mesce birra in quantità industriale.
È la stanza in bianco e nero, quella di Montesecco e di un campeggio gestito con i piedi o quella dei bivacchi del Sussidiario, quella riservata ad un’epoca morta. Sepolta. C’è poi il salone d’ingresso, a colori, con una foto grandangolare spacchettata come se si trattasse di un puzzle perfettamente ricostruito, dove ad osannare chissà chi c’è uno stuolo di bravi ragazzi, che non sembrano e soprattutto non sono, parenti di quelli immortalati nella sala adiacente.
All’inaugurazione di una mostra fotografica sul Festival Blues, è, non sarebbe, doveroso che chi prende la parola per introdurre l’evento conosca almeno la fotografia o, in alternativa, sappia qualcosa sulla storia di quelle foto al Festival Blues.
E invece, a parlare, sono stati i soliti ormai fastidiosissimi demagoghi, che di fotografia non ne sanno assolutamente nulla e ancora meno delle storie che sono la terra, il cuore e le speranze, spesso vanificate, di quegli scatti.
Invece di chiedere a Lorenzo Gori cosa possa rappresentare, per lui e per la città, questo corposo e preziosissimo materiale storiografico, hanno ovviamente spostato il tiro sullo spirito di accoglienza della città e i suoi risvolti, inanellando una serie vomitevole di luoghi comuni dei quali, almeno al Festival Blues e al cospetto di un fotografo che conosce la fotografia e la storia del mutevole pubblico della manifestazione, gradiremmo fare a meno.