GLI “INTERPOL” NON BUCANO LA PIAZZA

Interpol. Paul Banks
Interpol. Paul Banks

PRATO. La piazza non è piena come l’organizzazione desidera. È da mettere in conto, comunque; gli Interpol, gruppo statunitense che ha aperto, martedì 1° settembre, i quattro concerti in scaletta della rassegna Settembre pratese, hanno costruito il proprio sound sulla totale riabilitazione della new age e sono, di conseguenza, una band di nicchia, da circolo chiuso pieno di nicotina e piazza del Duomo di Prato, invece, somiglia più ad un catino da convention americana che ad un club per gli eredi dei Cure.

Prima di loro, emozionati oltre ogni ragionevole esordio, i Piqued Jacks, quattro ragazzi che arrivano da Borgo a Buggiano e che non nascondono né felicità, né consapevolezza.

“Sappiamo tutti che siete qui per gli Interpol – racconta, emozionato, il giovane bandleader, che indossa, come i suoi tre colleghi di palco, una felpa scura con delle venature bianche, con tanto di cappuccio, con i quali tutti si coprono la testa –. Però, per noi, è la prima volta che ci concedono il lusso di aprire un concerto tanto importante. Vi chiediamo calore, sapremo come ricambiare”.

Le ultime parole si capiscono a stento, perché parte forte e fragoroso l’applauso del pubblico, tra il quale, nel bel mezzo, c’è anche un gruppo di fans particolarmente sfegatati, che hanno preparato un cartello con scritto il nome della band e che mettono orgogliosamente in mostra, prima e dopo la breve, ma indimenticabile (per loro), esibizione.

Due componenti dei Piqued Jacks
Due componenti dei Piqued Jacks

Le attese sono terminate. Paul Banks e i suoi amici di live dal 1998, salgono finalmente sul palco. Silvano Martini, l’onnipresenza della sicurezza toscana, gli Interpol non li ha mai ascoltati. La notizia raggela le nostre aspettative, ma facciamo finta di non averlo sentito e ci piazziamo lì, a ridosso delle transenne, sotto il palcoscenico, per scattare qualche foto.

I presenti, le loro canzoni, le conoscono tutte, almeno le prime otto in scaletta. Però, anche a loro, ai più fervidi convinti seguaci, sembra, oggettivamente, mancare qualcosa. È una miscela poco esplosiva, è un’offerta senza suppellettili, è un pacchetto senza sorpresa. Un’impressione che condividiamo con più d’uno spettatore che non si sente sufficientemente strappato dalla normalità dall’esibizione degli americani.

La serata scivola via con tutta la sua benaugurante leggerezza, però; il caldo umido non deve fare i conti con una piazza gremita. Ci si può sedere sugli scalini del Duomo, posti al lato della migliore prospettiva e assistere al resto del concerto con tutta la sua gradevolezza, acustica e visiva.

Il ghiaccio dell’evento, però, si è rotto e senza lasciare detriti. Stasera e domani, con Alessandro Mannarino (prevendita furiosa) prima e Michele Caparezza Salvemini dopo, la piazza si immolerà lungo due religioni semantiche: quella metropolitana e quella pugliese, conservando integro il fascino della manifestazione, ma regalandole quel tocco di provincialismo internazionale. Venerdì, con i Negrita, si chiuderà il sipario. Sarà tempo di bilanci, conti e considerazioni. E di tante cose di cui parlare.

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