UN FILM SOSPESO, tra la cinematografia classica e avventuriera e una nuova versione di un indimenticabile Peter Sellers, Grand Hotel Budapest, la pellicola che ha avuto l’onore di aprire la 64esima rassegna del cinema di Berlino, scritta e diretta da Wes Anderson e ispirata agli scritti di Stefan Sweig.
Con un cast straordinario, che altro non fa che aggiungere poesia e mistero ad una trama fiabesca, quella che si svolge in questo meraviglioso decrepito hotel, di una fantasmagorica Repubblica di Zubrowka, dove forse sono entrare le cineprese per dare vita ad un altro impertinente capolavoro, Invito a cena con delitto, dove sulla scena di un’eredità contesa si consuma il furto di un inestimabile dipinto.
Una storia raccontata con un vecchio ma funzionale pennino e calamaio, che rimbalza, sistematicamente, tra il cartoon e una sepolta memoria romantica, tratteggiato da un sottile e costante umorismo inglese che induce lo spettatore a prenotare, la prossima vacanza, in questo castello sperduto, tra neve e solitudine, dove sicuramente ci si potrà imbattere in scrittori dimenticati e giovanissime sguattere delle quali, con molta probabilità, non potremo che innamorarcene.
La bellissima Léa Seydoux, un truce oltre ogni ragionevole finzione Wilem Defoe, un irriconoscibile Harvey Keitel, un impeccabile ed elegantissimo Ralph Fiennes, immersi in questa leggendaria fiaba dall’immancabile lieto fine che altro non è che lo spunto attorno al quale si consuma il nostalgico racconto di Zero Moustafa, il garzone che diventa, suo malgrado, il direttore del Grand Hotel Budapest, troppo impervio per essere raggiunto con l’automobile e non contemplato da alcuna mappa.