
NON COSTERANNO di più, da oggi, i libri di Gabriel García Márquez. Dunque, a quei pochi che non hanno ancora letto qualcosa dello scrittore colombiano, morto oggi all’età di 87 anni, suggeriamo di recarsi in libreria.
Il consiglio che ha la precedenza sugli altri è Cent’anni di solitudine, insignito del premio Nobel. Però potete anche iniziare da uno dei suoi ultimi scritti, Memoria delle mie puttane tristi, per nulla distante dalle pagine leggendarie degli altri capolavori, tutti puntualmente costruiti attorno al nulla, ai suoi sogni, che sono diventati i desideri di intere generazioni.
È quello che troverete in L’amore ai tempi del colera e che non sfuggirà nemmeno a Cronaca di una morte annunciata.
La morte di Gabriel García Márquez è una di quelle circostanze in cui la gratitudine e la riconoscenza poetica, letteraria, storica, civile, politica e morale prendono decisamente il sopravvento, fino ad annullarla, sulla tristezza.
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NON POSSO non aggiungere altre due righe alle poche, ma commosse, di Luigi.
Cent’anni di solitudine è il romanzo della mia gioventù. Ero sotto le armi, a Gaeta. E un fante di passaggio me lo portò, incartato, da Trieste, inviatomi come dono dalla Mitteleuropa dal compagno più caro che abbia avuto e che non ho mai più rivisto, Giuseppe Tuscano, di Saline Ioniche.
Ebbi anche il coraggio di leggere L’autunno del patriarca, il libro che fece impazzire tutti. Ma si sa: la critica è l’isteria degli intellettuali, che rincorre non solo l’impossibile, ma anche l’improbabile.
Quando uscì L’amore ai tempi del colera tutti a sparare su Márquez – anche se oggi nessuno lo ricorda. Il genio è finito – si diceva. Che flop, dopo Cent’anni e dopo L’autunno del patriarca! Poveri fessi.
Lessi quel romanzo e, in fondo, mandai a quel paese critica e critici – è un merito farlo, credetemi. E non è mai troppo.
Pensai che, avessero pur avuto ragione, quell’opera, con quei due impossibili esseri reali, Florentino Ariza e Fermina Daza, era e restava il monumento all’inutile grandezza dell’inutile umanità.
Sono passati gli anni e L’autunno è sceso (e grazie a Dio) nell’oblìo. Resta, invece, El amor en los tiempos del cólera come una piramide egizia, sublime e indistruttibile.
Lì ognuno di noi è un eroe, perché nel mondo – escluse quelle merde che sono i politici ladri, i magistrati corrotti, i preti che disonorano Cristo e i manager che bleffano a un milione di euro all’anno etc. etc. – nessuno è un eroe se non in un amore ai tempi del colera. Effimero ed eterno.
Era un giornalista, Lui. Di quelli veri. Con tanti difetti, ma molte idee chiare. In una famosa intervista fu definitivo come al solito. Disse che il mestiere dello scrittore era il più difficile del mondo perché nessuno poteva insegnare come farlo.
E aveva ragione. Ma lui lo sapeva fare alla perfezione. È per questo che lo piango.
Edoardo Bianchini
Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Gabriel_Garc%C3%ADa_M%C3%A1rquez