I BANQUO, ANATOMIA DELLE OCCASIONI

Enrico Campanati
Enrico Campanati

PISTOIA. Non la leggete la traccia di I Banquo, prima della sua rappresentazione: rischiereste di darle un senso storico. Lasciatevi invece pilotare lungo la bisettrice della leggenda celtica, o dell’immaginazione, che è un sogno premonitore, un incubo, un ricordo e fatevi, durante, la domanda che Enrico Campanati, l’attore, rivolge al pubblico: e se non fossi stato io, ma tu? e viceversa.

Le cose stanno proprio così, cioè non stanno in alcun posto; le cose dormono dove le riponiamo, ma solo perché, se ne avessimo bisogno, sapremo dove andarle a cercare. La vita è un’opportunità, spesso un debito, che prima o poi bisogna saldare. A provare a spiegarlo, confondendo ulteriormente idee già preda di anarchia disfattista, è Fabrizio Arcuri, regista di Banquo, sul palco del piccolo teatro Bolognini nel pomeriggio, all’interno della rassegna Teatri di confine, per questo doppio omaggio a Shakespeare che chiuderà un cerchio infinito e dunque irricongiungibile stasera, con Io Fiordipisello.

Il sangue è la linea di confine prima e dopo la quale il mondo celebra se stesso: i re conquistano i loro territori, i loro figli succederanno al trono, a patto che loro padre sappia conservare il potere. Altrimenti dovranno scappare e non saranno più predestinati, ma precondannati.

Enrico Campanati chiede al pubblico di provare ad immaginare: è l’immaginazione il motore musicale della rappresentazione, che si avvale di qualche pezzo rock che impone di oscillare le teste e la sensazione di avere a che fare con uno scherzo teatrale. Non è uno scherzo, I Banquo, lo scherzo è la vita che ci porta a fare tutto quello che facciamo, compreso andare ad assistere a quello e ad altri spettacoli. Ci troviamo, puntualmente, nel posto giusto/sbagliato al momento giusto/sbagliato: sono le circostanze a scegliere per noi e trasformarci, in un attimo in un eroe o in un sanguinario, vittima e carnefice, vincitore e vinto. Le mani però, da qualsiasi parte decida di metterci la storia, ce le avremo imbrattate di sangue e sarà meglio che nessuno provi a lavarsi: restano le macchie, rimane l’odore ed è su quel sangue che costruiremo la nostra fortuna. O i nostri misfatti.

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