FIRENZE. Non c’è più il museo del Ciclismo “Gino Bartali” a Ponte a Ema (Fi), a seguito di un’infinita querelle che dura da anni, chissà quando riaprirà. Da una parte l’associazione che gestisce il museo e due figli del campione, Luigi e Bianca Maria (quest’ultima però in una posizione più defilata), dall’altra la moglie di Gino, Adriana Bani (oggi deceduta), e l’altro figlio Andrea.
Contrapposizioni in alcuni momenti anche tra il sodalizio associativo gestore e gli enti proprietari della struttura, come riguardo allo spazio polivalente ed alla gestione del locale a piano terra. La signora Adriana ha richiesto di tornare in possesso di trofei e cimeli relativi alla carriera sportiva del marito esposti nel museo, per traslocarli in quello sul Ghisallo in Lombardia.
L’associazione Amici del museo “Gino Bartali”, presieduta da Andrea Bresci, è contraria sostenendo che tutto il materiale fu donato da Gino ed è dunque divenuto da allora proprietà del sodalizio. L’assessore comunale allo Sport di Firenze, Barbara Cavandoli, aveva cercato di rilanciare il museo mediante una gara di appalto per la gestione.
Contraria a tale posizione l’associazione che gestisce la struttura, riportando carte alla mano le spese sostenute per tenere aperto il museo, da qui la manifestazione di protesta di quest’ultima, assieme ai dipendenti, in piazza della Signoria nel capoluogo di regione, sotto a Palazzo Vecchio, con tanti di cartelli contro gli enti proprietari del museo ovvero i Comuni di Firenze e Bagno a Ripoli e la Provincia che non avrebbero rispettato l’accordo di programma stilato nel 1999 e quello di gestione del 2006, contestando anche il lavoro dell’allora collega di Calandoli nell’amministrazione provinciale, vale a dire l’assessore Alessia Ballini, con tanto di chiusura immediata del museo ed iniziando a traslocare il materiale esposto a partire dai pezzi più pregiati.