PISTOIA. È tempo di bilanci. Quelli del Festival Blues, edizione numero 35, li faranno ufficialmente domani, immaginiamo, nella Sala del Gonfalone di Palazzo di Giano, Giovanni Tafuro, Samuele Bertinelli e Elena Becheri, sempre che il Sindaco voglia. I mezzi di informazione saranno al gran completo, come le rappresentanze dei commercianti.
Non si presenteranno all’appuntamento, possiamo prevedere, i cittadini del centro storico, soprattutto quelli della Sala, perché nonostante tutti i buoni propositi della vigilia, con tanto di vademecum, pattuglie di prevenzione e controllo, la massa, che inizia ad essere fastidiosa oltre ogni ragionevole sopportazione, ha fatto quel che ha voluto, confondendo la gioia dell’evento con un diritto chissà da chi attribuitole di fare i propri porci comodi.
Noi che ci siamo stati tutte e otto le sere ci permettiamo il lusso di stilare una specie di classifica, che contempli, un po’ come succede per la vivibilità della città, una serie di fattori. Il primo che salta all’occhio è che forse, otto giorni, sono molti, troppi. La musica non ci stanca e non ci stancherà mai, ma con un’overdose del genere non si ha il tempo materiale per digerirla, gustarla, pensarla, discuterne. La Piazza, però, ha retto egregiamente, offrendo se stessa con la medesima disponibilità a tutti quelli che hanno saputo strapazzarla: in pochi però, dopo, hanno saputo renderla al suo calore, al suo fascino.
I migliori sono stati gli Arctic Monkeys, non c’è che dire: a vederli, lontano dalla nostra città, non andremo mai, né pagando un biglietto, né chiedendo accredito, ma questo non vuol dire assolutamente nulla. Sul palco ci stanno stare, emulano con taroccata originalità i loro padri spirituali, che non gliene vogliono e riescono a coinvolgere una fiumana di persone e cose con estrema naturalezza. A ruota ci sono i Negramaro, che non sono da meno: fanno meno effetto dei loro fratelli inglesi solo perché sono leccesi, ma non hanno nulla da imparare, da loro.
Non ci siamo convertiti ai numeri, ma non possiamo nemmeno non mettere nella debita considerazione che il principio haegeliano che la peggior testimonianza in favore di un’opera è l’entusiasmo con cui la massa si rivolge ad essa ha un valore ipotetico e serve a decomporre falsi miti. I Festival, Blues compreso, hanno bisogno di fare cassa per giustificarsi e potersi rioffrire. Le esibizioni che ci porteremo dietro di questa edizione, in quel sacco colmo di ricordi, alcuni indelebili, iniziati a collezionare dal 13 luglio 1980, sono un fantastico Jonny Lang, su tutti, seguito a ruota dal nigeriano Bombino e dagli elegantissimi Morcheeba, che non hanno certo bisogno della nostra approvazione, questi ultimi.
Salutiamo con un sorriso lungo una vita Lee Scratch Perry e il suo intramontabile ragamuffin e facciamo i nostri migliori auguri a Mark Lanegan, che non ne ha bisogno, ma non si sa mai. A Robert Plant consigliamo di decidersi di ammainare la bandiera e sapersi ritirare in buon ordine tra quelli che hanno dato e detto molto alla musica, ma che ora non hanno più tutti quegli argomenti per continuare a tenere in piedi delle conversazioni che non siano copia e incolla del loro passato.
La Bandabardò la rivedremo volentieri nei paraggi, non mancherà l’occasione; Suzanne Vega e As Joan as Police woman invece ne faremo volentieri a meno, ma non saremo indotti in tentazione. Anzi, ci permettiamo di rimpiangere, nella serata riservata ai residenti, una massiccia dose di suonatori indigeni che non scomodano su quel palco come in quelli di tutto il Mondo: sarebbe stato carino regalare ai pistoiesi una serata di blues pistoiese e di musicisti capaci, nei paraggi, ce ne sono davvero molti e molto bravi.
Anche al duo The Kills rivolgiamo i nostri auguri sinceri: ci credono, fanno sul serio e sono carucci. Jack Johnson invece siamo sicuri che lo rincontreremo, altrove, ma sarà un piacere, perché è un sottofondo consono allo scorrere del tempo, come The Lumineers, parecchio uguali al pezzo precedente da loro interpretato, ma con una vitalità piacevole, contagiosa.
La città, in compenso, ha risposto ancora una volta in modo scomposto, tradendo una totale assenza di familiarità con la felicità e la disinvoltura: si aspettano i visitatori rumorosi per unirci a loro cercando di non essere riconosciuti. Poi, prima e dopo, ci rintaniamo nelle nostre inaspettative chiedendo ad altri di suggerirci qualcosa. Una città di percussionisti notturni ai quali suggeriamo di prenedere lezioni da Enrico Cecconi e Davide Malito Lenti, due grandi battersiti che vivono e insegnano a Pistoia: con loro il rumore si trasforma in melodia, ma le lezioni le danno di giorno!
Di blues – e qui terminiamo – , non se ne è sentito moltissimo, è vero e non perché, come recitano gli stolti, stia male, o in punto di morte. Certo, mentre la folla adolescenziale impazziva per gli Arctic Monkeys, moriva Johnny Winter, uno di quelli che al Blues, con la B maiuscola, ha dato davvero molto. L’albino è uno di quelli che sta in quel sacco che custodiamo con nostalgia e orgoglio di cui vi parlavamo prima e quando suonò in piazza del Duomo, luglio 1988, noi, insieme a tantissimi altri, c’eravamo!