QUANDO nel lontano 1969 mi laureai (presso la Facoltà di Scienze Matematiche) in Scienze Geologiche all’Università di Firenze, lo feci con una Tesi in Fisica Terrestre, la prima in quella Facoltà, perché ero amante di tale disciplina e curioso delle implicazioni che comportava.
Poi la mia carriera ebbe altri sviluppi, docente di matematica applicata all’Istituto Pacini, assistente di topografia e cartografia all’Università e poi Preside dello stesso Istituto Pacini per 30 anni.
Tuttavia la curiosità e l’amore per la Fisica sono rimaste sempre tant’è vero che quando venivo nominato nelle commissioni di esami di maturità e di concorso per i docenti sceglievo, quando potevo, di essere assegnato a Bologna anche perché nei momenti liberi trascorrevo il tempo nella Basilica di San Petronio, in Piazza Maggiore, celebre allora, non solo per testimonianze di storia dell’arte che sono racchiuse in quel compendio della storia bolognese, ma anche per l’orologio ad equazione che nella navata orientale della chiesa stessa, presso la “linea meridiana” del Cassini, ha segnato dal 1758 in poi, il trascorrere di due secoli e mezzo di vita della città.
Questi secoli furono di cambiamenti inauditi, testimoniati anche dalla mutazione del modo di contare le ore della giornata, passato dall’antico sistema italiano (da un tramonto all’altro) a quello francese (da una mezzanotte all’altra); mutazione che l’orologio a due quadranti detto dei gemelli voleva contribuire a introdurre e a rendere più familiare nelle scadenze orarie della vita civile di tutti i giorni. Per alcuni anni le macchine sono state ferme, ma nel 2004 gli orologi, detti del Fonasini, sono tornati a funzionare.
Non sto qui a spiegare le caratteristiche degli orologi gemelli, ma rimando alle pubblicazioni che, almeno nella Basilica di San Petronio, si possono vedere ed acquistare.
Vorrei invece, sempre brevemente, soffermarmi su un altro strumento, molto conosciuto dagli esperti, anch’esso collocato, ma solo nel 2005, nella Basilica di San Petronio, cioè il Pendolo di Foucault, evidente dimostrazione che la Terra ruota su se stessa, effettuata per la prima volta dal fisico francese Léon Foucault (1819-1868) nel 1851 all’interno del Pantheon [1] di Parigi.
Un cronista scientifico dell’epoca così si esprimeva il 26 marzo 1851: “Avete mai visto la terra ruotare? Vorreste vederla ruotare? Recatevi allora giovedì, e fino a nuovo ordine tutti i giovedì seguenti, dalle ore 10.00 a mezzogiorno, al Pantheon. La magnifica esperienza concepita da M. Léon Foucault si ripropone là, alla presenza del pubblico, nelle migliori condizioni del mondo; grazie alla perizia di M. Froment, il pendolo sospeso alla cupola di Soufflot pone sotto gli occhi di tutti il moto rotatorio del nostro pianeta”. Si parlava ovviamente del sistema eliocentrico.
L’esperienza pubblica del Pantheon dà la prima dimostrazione visiva che Copernico e Galileo avevano ragione; questi due scienziati, successori di antichi precursori che non avevano trovato credito in tempi assai remoti, affermarono con convinzione che la Terra non è posta al centro del mondo, ma essa gira attorno al Sole, e nel contempo gira su se stessa.
Questa idea era già venuta ad Aristarco da Samo, tanto che Archimede, nel 250 a.C., troverà in essa la naturale spiegazione del moto degli oggetti celesti, e delle loro traiettorie. Opposizioni non prettamente scientifiche ma soprattutto di natura filosofico-metafisica – che trovavano in queste idee una non perfetta rispondenza con i canoni logici di quei tempi – portarono per ben 1800 anni ad abbandonare simile teoria, allo stesso modo con cui tra il 16° e il 18° secolo si manifesterà una ferma opposizione alla teoria eliocentrica.
Ma ecco che si arriva a Nicolò Copernico (1473-1543). Egli afferma la validità del sistema eliocentrico in cui la Terra e i pianeti girano attorno al Sole su orbite circolari non complanari e in cui la Terra ruota su se stessa, e la Luna ruota attorno alla Terra. La sua teoria non è però accettata dagli scienziati dell’epoca in quanto i risultati forniti dalle osservazioni sono ancora imprecisi, ed i concetti ipotizzati sono troppo anticipatori di una rivoluzione astronomica che intende togliere la Terra dal centro dell’universo.
In seguito al clamore suscitato dall’Inquisizione rispetto a Galileo (1564-1642), il De Revolutionibus di Copernico viene messo all’indice, e le sue idee verranno accettate soltanto un secolo dopo grazie alle osservazioni di Galileo, alla teoria di Keplero, e alla formazione della legge sulla gravitazione universale enunciata da Newton.
L’invito di assistere al Pantheon alla dimostrazione che “la Terra ruota su se stessa” riportato sopra, è la conseguenza di una attenta osservazione di un fenomeno fisico e la conseguente deduzione formulata da Foucault che ancor oggi, a distanza di oltre un secolo e mezzo, non cessa di entusiasmare il pubblico.
Nella cantina della sua casa trasformata in laboratorio e riempita di oggetti e strumenti di ogni tipo, nei primi giorni di gennaio del 1851 il nostro fisico fissa sulla volta un filo d’acciaio lungo un paio di metri a cui è appesa una sfera d’acciaio di 19 chili, mettendola quindi in oscillazione. Passa una decina di minuti e volgendovi di nuovo lo sguardo si rende conto che il piano creato dall’oscillazione impartita ha mutato leggermente di direzione: è la testimonianza – per chi sa leggerla – che la Terra non è immobile, ma ruota su se stessa. Il pendolo infatti oscillando tende per inerzia a mantenere il suo piano iniziale, mentre invece la Terra posta sotto i nostri piedi segue la rotazione del proprio asse. Marciando quest’ultima in senso anti-orario, ne risulta che noi vediamo il pendolo spostare il piano di oscillazione in senso orario e viceversa nell’emisfero sud.
Infatti, se potessimo uscire dal campo gravitazionale terrestre e qualcuno dirigesse il piano di oscillazione del pendolo verso una precisa stella, e tale movimento potesse protrarsi all’infinito, noi lo vedremmo costantemente mirare verso tale direzione, pur accorgendoci che attorno al pendolo tutto ruota.
Tale osservazione, notata in precedenza da altri scienziati ma mai associata alla prova tangibile della rotazione terrestre prima di Foucault, conferma in modo inequivocabile che le teorie di Copernico e di Galilei, erano giuste: una prova eclatante, semplice e convincente. Essa non è di per sé una scoperta scientifica, dato che gli astronomi del XIX secolo hanno già da tempo ampiamente convalidato il sistema copernicano, ma piuttosto essa ha il grande pregio di mostrare – in forma pubblica e popolare – una realtà fisica che nel suo intimo incanta ed affascina. Uno spettacolo che per molti versi è simile a quello della Meridiana a Camera Oscura presente nella Basilica di San Petronio, in cui a mezzogiorno un fascio di luce va a centrare al suolo la linea.
Meno di un mese più tardi della prima esperienza, assistito da François Arago, il nostro scienziato ripete l’esperimento entro più nobili mura: effettuate le doverose verifiche e studiato scientificamente il fenomeno, ne consegue che un ristretto numero di persone ricevono, il 3 febbraio 1851, un biglietto del seguente tenore: “La S.V. è invitata ad assistere alla rotazione della Terra nella Sala Meridiana dell’Osservatorio di Parigi”. Questa volta il pendolo raggiunge una lunghezza di 11 metri: le sue oscillazioni sono più ampie, e di conseguenza anche la dimostrazione assume un effetto di maggior resa per il pubblico.
Ritornando al pendolo vorrei ricordare un manoscritto che si conserva nell’Archivio dell’Osservatorio Ximeniano dei Padri Scolopi a Firenze. Vi si trovano appunti sulle esperienze effettuate nel 1886 dai PP. Antonelli e Cecchi nel Duomo fra il 3 e il 7 settembre. Poco si sa nei particolari, in quanto non venne redatta alcuna relazione, ma soltanto un accenno da cui apprendiamo che il pendolo è costituito da una massa sferica di piombo del diametro di 163,5 millimetri con un peso di 30 kg, il quale effettua un periodo di 9,39s, collegato ad un filo d’acciaio di metri 88,172. La lunghezza del filo lascia intendere che il medesimo aveva certamente il punto di sospensione nel piano della lanterna, molto prossimo al foro gnomonico praticato su una piastra di bronzo da Paolo dal Pozzo Toscanelli, asportato nel 1859, e finalmente ricollocato al suo posto nel 1866 dallo Scolopio Padre Antonelli.
L’esperienza viene ripresa una sessantina d’anni dopo da un altro scienziato appartenente agli Scolopi: Padre Guido Alfani (1876-1940). La dimostrazione si svolge ancora una volta nel Duomo di Firenze, fra il 21 e il 27 settembre 1929. L’idea nasce spontanea in considerazione di una Mostra dedicata alla scienza che si svolge in quell’anno, nella quale figurano in primissima linea gli strumenti ideati da Galileo e dai suoi più brillanti discepoli.
Facendo tesoro delle esperienze fatte dai suoi predecessori, Padre Alfani parte dal presupposto che il pendolo richiede una notevole massa per non subire l’interferenza delle correnti d’aria specialmente ai livelli superiori della cupola, altrimenti il pendolo ne sarebbe fortemente disturbato e contribuirebbe notevolmente al fallimento della prova. Si realizza così un pendolo di 100 kg, a cui si collega un filo d’acciaio (preventivamente calcolato per quell’uso) di mm 3,48 di diametro. Detto filo su entrambi i lati viene serrato da un mandrino (del tipo che si adopera sui torni di precisione), agganciando il superiore ad una traversa di ferro ad “L” murata a cemento nella gola interna del collarino della Cupola, e l’inferiore sulla sfera stessa. Sotto quest’ultima un serrafilo stringe un ago ben diritto e sottilissimo capace di tracciare le oscillazioni pendolari su uno strato di sabbia.
L’operazione più delicata dall’esperienza in questione consiste nel far partire il pendolo in maniera retta, tale da non produrre oscillazioni laterali, così da realizzare un perfetto piano di oscillazione. A tale proposito Padre Alfani fissa a distanza di tre metri dalla verticale del pendolo a riposo un solido banco, dotato di una robusta asta verticale, a cui collega una cordicella di seta. L’altro capo lo collega ad una seconda cordicella che unisce entrambi i poli della sfera, così da non tensionare in maniera anomala l’assetto della medesima. A questo punto basta avvicinare la fiamma della candela alla cordicella di seta, ed il pendolo inizia la sua morbida e lineare corsa di andata e ritorno.
Ma prima ancora di farlo partire Alfani predispone sul lato opposto del banco un grosso strato di sabbia finissima ben compressa e scrupolosamente spianata, il cui livello è di alcuni millimetri emergente rispetto l’estremità dell’ago montato sotto la sfera. Così facendo, sulla sabbia si forma – passaggio dopo passaggio – l’impronta della traiettoria, giungendo ad ottenere un grafico nitido e regolare della deviazione che si va a formare sul piano col passare dei minuti.
Adesso i pendoli di Foucault sono molteplici in molte Nazioni e particolarmente in America, (uno enorme è posizionato nel palazzo dell’Onu), in Francia e in Italia (oltre che a Bologna a Modena, a Cagliari e a Padova). Il pendolo, come detto, è uno strumento assai semplice, ma, al pari dei suoi simili di metà ottocento, ha ampliato le basi per una moderna Fisica da cui deriva la scienza di cui oggi ci avvaliamo. Anche a Pistoia, nell’ex chiesa di San Giovanni Battista, il consiglio di Amministrazione della Fondazione omonima ha, avuto, su suggerimento del fisico pistoiese Prof. Franco Cecconi, l’intenzione di costruire un pendolo di Foucault, ma poi ha dovuto rinunciare per altri progetti più urgenti, con rammarico dei componenti.
Con quanto sopra ho cercato di passare in rassegna la storia e le fondamentali caratteristiche del nostro pendolo: una semplice esperienza densa di contenuti che ha il merito di aver contribuito in maniera popolare a trattare uno dei più noti temi della Fisica di metà 800.
La Basilica di San Petronio, oltre alla gloriosa meridiana del Cassini, offre questo altrettanto interessante strumento; facendo mio quello che Foucault stampava ai suoi tempi, rinnovo l’invito:
«Vous êtes invités à venir voir tourner la Terre».
[1] – Dal 1791 monumento laico destinato ad accogliere le memorie dei Grandi della Patria, reso successivamente al culto cattolico da Napoleone nel 1806 e ritrasformato ancora, nel 1848, in monumento della Patria in versione decisamente laica.
[*] – Preside dell’Isituto F. Pacini e oggi Presidente del Conservatorio di San Giovanni, ospite
BIBLIOGRAFIA
Non esiste una specifica biografia sugli orologi ad equazione di S.Petronio e sul resto. Lo scarno repertorio bibliografico si limita solo alle seguenti voci:
- – Orologio gemello etc. di Ballanti e Paltrinelli. Patron editore, 2005
- – Orologio gemello etc. di De Santi. Comune di Bologna, 1925
- – L’orologio di Rizzardi, in “La Clessidra”, 1980
- – Il Pendolo di Foucault di Paltrinieri, Negri edizioni, 2009