informazione & giustizia. «NON VOGLIO ESSERE “GIORNALISTA” PERCHÉ SONO UN UOMO LIBERO»

QUANTE CHIACCHIERE IN NOME
DELLA COSTITUZIONE E DELLA LEGALITÀ!


Fin da subito…

 

di FELICE DE MATTEIS
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È ANTIPATICO dovermi proporre all’attenzione dei miei due lettori per ciò che ho fatto o non ho fatto; non prendetela quindi per vanità personale ma solo come strumento per comprendere quanto andrò esponendo.

Quando i sacri furori della politica pervadevano tanti giovani come chi scrive, avrei potuto iscrivermi all’ordine dei giornalisti in virtù di articoli su quotidiani nazionali, segnatamente “Il Secolo d’Italia” ed “Il Candido”.

Non lo feci perché non me ne fregava nulla e, probabilmente, avevo già intuito che mondo fosse quello dei giornalisti, da non confondere con la benemerita categoria dei giornalai.

Il direttore Bianchini mi è testimone che analoga scelta ho fatto in costanza di collaborazione con questo quotidiano, dalla sua nascita con altro nome, all’attuale.

Io non voglio essere qualificato «giornalista» perché sono un uomo libero e leggere e conoscere i “sancta sanctorum” della carta stampata mi fa venire l’orchite.

I camerati Scalfari, Bocca e liquame vario, versipelle di professione e venduti ai tempi mutevoli che si sono trovati a vivere, adattandosi e mettendo la loro penna (e le loro tasche) al servizio della moda di turno, a me fanno schifo; fanno schifo al pari di tanti pennivendoli odierni, faziosi e presuntuosi al punto da credere che il cittadino non ricordi. Come si fa a non disprezzare – sì disprezzare – individui come il nasone Gad Lerner, il lotta continua divenuto ultra borghese, o il bastonatore katanghese Capanna, quel farabutto politico, padre putativo dei centri sociali, che dà di coglione al popolo perché non vota secondo i suoi desiderata?

Sono giornalisti, così come lo sono tutti i politici da Gasparri a Fini a D’Alema solo perché hanno scribacchiato sui quotidiani dei loro partiti; se guardate i loro curricula, al primo posto come professione sta scritto «giornalista».

Le tremende offese al Granduca di Toscana e alla sua perfetta San[t]ità
Tralascio i giornalisti de “noartri”, quelli dei giornali locali che nella stragrande maggioranza applicano il principio dantesco: “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scendere e ’l salir per l’altrui scale”; e tutto accettano, anche quello di compiacere il padrone svolgendo addirittura la mansione che Giuda rese famosa: la spia e il delatore.

Intendiamoci, la maggioranza di coloro che si dedicano a questa professione che dovrebbe essere nobile, ma non lo è più, sono coloro che prendono 10 € a “pezzo” e i più fortunati, percepiscono uno stipendio meno che dignitoso. Loro, per me, sono giornalisti.

Ho avuto modo di comprendere che chi si batte per l’abolizione degli ordini professionali ha ragione; ho assistito ad una sceneggiata presso l’ordine dei giornalisti a Firenze che faceva schifo allo schifo. E mi fermo qui perché io, che non sono «giornalista», a questi signori sputerei volentieri prima in un occhio e poi nell’altro.

D’altronde il giornalismo rispecchia la società nella quale viviamo e gli organismi falsamente democratici che la rappresentano.

Pensiamo alla Magistratura e alla cloaca maxima che rappresenta. Una accozzaglia di gente con un mantello nero addosso chiamato “toga” che dovrebbe distribuire equità e giustizia e, al contrario, rappresenta la peggior manifestazione di ciò che “non” dovrebbe essere il vivere civile.

Giudici che si fanno guerra fra loro, che si fanno corrompere e che corrompono, che manipolano processi a seconda del proprio interesse e si fanno ricattare da avvocati spericolati e delinquenti al pari loro.

Ci pare ovvio che anche in questo settore esiste una maggioranza di giudici onesti e silenziosi che svolgono la loro missione con decoro e pure avvocati che “non la danno” pur di vincere.

Questo modo di intendere la professione è meretricio. Dunque, cosa mai dovremmo attenderci dalla politica?

Ma è è disuguale per alcuni

Il candidato era chiamato tale perché vestiva la tunica candida a dimostrazione della sua integrità morale e del suo spirito di sacrificio e abnegazione verso il popolo. Ve li immaginate voi i nostri politici con la tunica candida?

Mi spiace, direttore Bianchini: prendi la tessera della tua congrega e stracciala.

Oppure continua a combattere. Io, questa volta, sono tentato di scappare e di andare a fare il partigiano. Quando avranno liberato questa nazione che affoga nella merda, chiamami e dimmi che fazzoletto devo mettere al collo.

Auguri a te ed a quelli come te che pensano ancora di poter civilmente cambiare le cose con la discussione e il ragionamento.

Il popolo italiano non si governa, si comanda. E basta.

Felice De Matteis
[redazione@linealibera.it]
Diritto di critica


MEGLIO PERSEGUITATO POLITICO
CHE SPIA ISTITUZIONALE DEL PODERE!

 

Semel sacerdos, semper sacerdos… Superato l’esame resti giornalista per sempre

 

Caro Felice De Matteis,
ormai siamo vecchi entrambi. Siamo nati in altra epoca, nel 1947. Discendiamo tu da una famiglia numerosa e in qualche modo privilegiata (tuo padre faceva andare la macchina del Ceppo), io da una famiglia assai umile di contadini-boscaioli-falegnami.

Casualmente ci siamo trovati al Liceo Forteguerri: io (per caso/fato) in sezione A; tu, per lo stesso motivo, in sezione C. Come si è detto più volte a tavola dinanzi a un bicchiere di vino e a un piatto di funghi fritti, non ci siamo mai rivolti la parola.

Improvvisamente, quando ho iniziato a fare confusione con il mio Quarrata/news, ti sei avvicinato e hai iniziato a collaborare: con spontanea semplicità. Hai scritto quel che hai voluto, ti ho pubblicato tutto quello che hai scritto senza censure: forse è per questo che, pur essendo io un giornalista di quelli iscritti all’ordine, non ti ho fatto schifo. Anche perché io appartengo a quei giornalisti che non hanno fatto carriera: e un giorno molto vicino ti dirò, e dirò a tutti, per che e come non la abbia fatta – con nomi, cognomi e indirizzi.

Comunque non è stato male che tu abbia “assaggiato l’Ordine” in una delle sue emanazioni più problematiche, la Commissione di Disciplina, una specie di tribunale in cui alcuni colleghi si divertono a fare come quei giudici di cui tu non hai stima (e neppure io).

Che altro dire se non che hai ragione sulla necessità di spazzare via le sottomafie del PoDere organico da cui siamo dominati da decenni senza soluzione di continuità?

Io continuo a farlo dal di dentro, anche se tentano sempre e comunque di tagliarmi le gambe. Ma sono fatto così, sono testone; e al Forteguerri (argomento su cui i pistoiesi doc si incazzano non appena scrivo e racconto certe verità documentate che non vogliono sentire) ho imparato tre cose, a cui non rinuncio, da un maestro che è stato anche tuo, il professor Vasco Gaiffi: i precetti oraziani, ripresi dal Manzoni, del “sentire e meditare”, il santo Vero mai non tradire”, “del poco esser contento”.

L’eterno scontro fra inetti ed eletti illuminati

Quando mi faccio la barba (rade volte) dopo un sonno spesso tormentoso, non mi sputo mai in faccia. Altri, messi molto meglio di me, non si sputano in faccia e vanno a letto e dormono beati come infanti: ma perché sono sommersi dalla merda, dalla reticenza, dal compromesso, dal “coschismo”, dalla sottomissione. Tutte qualità che derivano dal possesso e dalla frequentazione del PoDere. Io invece ho voluto essere un Uomo senza qualità

Quando la preside del Forteguerri, quella Rita Flamma vignaiola del PoDere, mi chiamò, violò il segreto d’ufficio leggendomi una lettera del protocollo riservato e mi chiese di trovare il modo di “fottere” il professor Roberto Azzarello (lui lo sa, perché glielo dissi), io presi le distanze da quei metodi di potere identici a quelli di chi vuole cancellare Salvini.

Erano gli stessi metodi di Mani Pulite, distanti mille miglia da me: l’uso della logica e del diritto per mandare la gente ad Auschwitz.

Eppure in quel momento fra me e Azzarello non correva neppure buon sangue. Eppure avrei potuto approfittarne per farmi “i cazzi miei”: solo che io non sono disponibile a fare la spia di quartiere, di strada, di palazzo, di appartamento, di famiglia, come succede oggi all’interno delle Usl democratiche di Enrico Rossi.

È dura, caro Felice, ma a meno che non mi eliminino fisicamente, sarà piuttosto difficile che riescano a piegarmi mettendomi nella posa del musulmano che prega il suo dio con il capo rivolto alla Mecca.

E se mi impiccheranno? Pazienza! «Una qualche morte – diceva mio padre – deve pur farmi da boia!».

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]


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