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PISTOIA. Irene ha tre grandi passioni: la ginnastica, la musica e il disegno. E riesce a coltivarle contemporaneamente. È iscritta al sesto anno di Conservatorio di arpa, dipinge sistematicamente ed è un’affermatissima artista, più propriamente una contorsionista. Di strada.
Lo sanno bene gli assidui frequentatori dei Festival on the road, quelli che si svolgono, ogni anno a Certaldo (Firenze), a Moio della Civitella (Salerno), al Mojoca Festival e a Santa Sofia (Forlì), quelli del Teatro torinese dove si svolge Il sacro attraverso l’ordinario, ma anche quelli del Circo acquatico Bellucci, dove si esibiva come contorsionista della brocca e tutti quelli che confidano nelle fonti non ordinarie d’informazione e cultura.
“Decisi di mettermi a suonare l’arpa – ci ha raccontato oggi Irene Betti, 24enne pistoiese – perché da bambina, una delle mie insegnanti di musica ripeteva sempre che l’arpa era lo strumento suonato dagli angeli. Le ho sempre creduto, soprattutto suonandola: ha un suono profondissimo, autorevole, inconfondibile; ha due chiavi di lettura, violino e basso e mi consente, soprattutto, di esibirmi da sola, la cosa più importante”.
Da sola, Irene, si esibisce sistematicamente e sta cercando il modo per come mettere in relazione artistica, scenica e spettacolare le sue tre doti: incantare il pubblico con la soave dittatura del suono dell’arpa, con alle spalle alcuni dei suoi dipinti e alternare, queste due discipline, con la sua danza sperimentale, quella del contorsionismo.
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“Ha origine asiatiche, il contorsionismo – prosegue a raccontarci Irene – precisamente mongoliche: riesco a sopravviverci d’estate, quando pullulano i Festival di strada. L’inverno mi dedico soprattutto all’arpa e alla pittura, senza tralasciare mai, nemmeno per un giorno, gli allenamenti. Il mio corpo e la mia mente viaggiano in perfetta armonia e simbiosi, in biunivoca corrispondenza: l’uno ha bisogno dell’altro, in modo vitale, indispensabile. Non riesco a non tenere in armonia il copro, non posso non armonizzare il pensiero e le idee, in costante sviluppo, sempre, vicendevolmente. Tanto posso fare con il corpo, altrettanto devo riuscire a fare con la testa; se riesco ad immaginare qualcosa di immenso, devo riuscire a riprodurlo con il movimento”.
Questi tre grandi amori la hanno sempre tenuta lontana dai libri di scuola, dai quali ben si è guardata da lasciarsi sedurre.
“Mi sono diplomata a Napoli – dice ancora –, ma della scuola non ne parliamo: è una disciplina che non riesco a contemplare, anzi, che disconosco. Mio padre Roberto, per questo, mi accusa di fancazzismo, anche se sa bene, nonostante mi veda pochissimo (vive a Roma, come sindacalista di Rdb – n.d.r.), quanto sacrificio debba osservare. E poi, da giovanotto, anche lui è stato un musicista. Mamma Catia Pia (impiegata), forse, avrebbe preferito che mi imbattessi in altri percorsi, però mi fiancheggia: sa quanto credo alle mie discipline e mi osserva ogni giorno mentre rullo i motori sulla pista di decollo: credo che sia la mia tifosa più spudorata. Con le due sorelle minori invece i rapporti sono quasi opposti: la più piccola, cinque anni, fa danza classica e ogni volta che vado a vederla si impone movimenti sbilenchi, dicendomi di essere in procinto di imitarmi. Quella più grande invece, 16 anni, liceale, è convinta che mi stia perdendo dietro un sogno illusorio: non vede di buon occhio questa mia scelta alternativa”.
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Per capire quale relazione metta in comunione l’arpa, strumento difficilissimo e pallosissimo da trasportare – sostiene Irene – e il contorsionismo, scheggia impazzita e misconosciuta della danza, soprattutto quella ordinaria, è indispensabile vederla all’opera, la dolcissima Irene: è impensabile, mentre solfeggia sulle corde con una leggiadria paradisiaca e una concentrazione religiosa di quello strumento antico e insuperato, pensare che poi sappia e adori contorcersi attorno ad un ramo di un alto fusto con selvaggia dimestichezza o giocare con i ceppi infuocati con insana incuria, o riuscire ad entrare, senza sforzo alcuno, in una valigia, ripiegandosi letteralmente in due, con la testa stretta tra le piante dei piedi.
“Da bambina ho frequentato i corsi di musica della Mabellini, poi, dopo aver ottemperato a quel fastidiosissimo rituale che si chiama scuola, ho potuto concentrami sulla musica e il suo strumento più illustre, profondo, rappresentativo: l’arpa. I miei colleghi di strada mi ripetono da parecchio tempo che devo fare in modo e maniera di riuscire a riunificare, all’interno di una medesima esibizione, il suono e la danza. Probabilmente hanno ragione, ma non ho fretta: credo che la vita dispensi tutto quello che uno desidera poter avere; troverò la strada, me la indicherà il tempo”.
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Il tempo, un regalo, ad Irene, potrebbe farglielo subito: l’arpa portatile, 5.000 euro.
“Per iniziare a buttare catrame sulla strada, che spero di asfaltarmi, non sarebbe male – conclude Irene –. Mi faciliterebbe molto le aspirazioni, ma anche per questo non ho urgenze. La comprerò, ne sono certa e succederà quando mi si saranno schiarite ulteriormente le idee: anche le opportunità hanno i loro tempi e si incastrano, perfettamente, con i nostri sogni. A patto che possano essere supportati dalla possibilità di essere realizzati, altrimenti non sono sogni, ma incubi”.