PISTOIA. Lo sfogo di un lettore, che ci scrive:
Ai tempi della febbre spagnola, una pandemia impossibile da curare con i mezzi dell’epoca, misteriosa nel suo diffondersi e letale nei suoi sviluppi, ci fu qualche giornalista che, preso dalla disperazione e votato a contenere il terrore tra la popolazione, proponeva come unico, certo rimedio, quello di non aver paura.
I risultati ovviamente gli dettero torto, purtroppo. Mi sembra che l’esempio possa calzare.
Pochi giorni fa ho ripercorso la linea ferroviaria Firenze-Pistoia-Pescia, la stessa che percorrevo la mattina e la sera ai tempi dell’università, che non ho frequentato nel medioevo.Allora, parlo degli anni settanta, lungo la linea, c’era una ininterrotta sequenza di fabbriche piccole e grandi, tutte illuminate, ben tenute, colme di operai e di lavoro a qualunque ora del giorno e della notte.
Ora, quegli stessi edifici oltre ad essere vuoti, bui e silenziosi sono anche completamente degradati, alcuni addirittura ridotti a veri e propri ruderi. A questo quadro già di per sé indicativo, ne va aggiunto un altro altrettanto significativo, lo stato della linea stessa e la circolazione dei convogli.
Impianti ridotti a veri e propri forteti ove dilagano erbacce, sterpaglie e immondizia di ogni genere, la classica delimitazione della linea, quella in prefabbricato di cemento, per intendersi, aggredita e scomparsa sotto masse intricate di vegetazione spontanea che nessuno limita più da chissà quanto tempo.
La situazione non appare migliore nelle stazioni e lo spettacolo in quarant’anni non è peggiorato soltanto, ma sconfinato nell’abbandono più totale, tra l’indifferenza di viaggiatori e cittadini.
Soffermatevi a Montecatini. Se qualcuno ricorda la stazione di pochi anni fa, fiorita, pulita, illuminata, con le sue strutture perfettamente conservate, ora gli sembrerà irriconoscibile nelle strutture e costellata, in ogni suo angolo, di bivacchi improvvisati da zingari, barboni, migranti che hanno disteso ovunque misere masserizie e sporco di ogni genere. Controlli pochi o assenti, manutenzione pressoché nulla e, se qualcosa viene fatto, sembra fatto a tirar via, per “onor di firma”.
Le stesse autorità latitano col complice e determinante silenzio dei cittadini. Non mi pare di aver visto statistiche che diano la dimensione di questo fenomeno, magari comparandole con gli anni addietro. Forse quanto osservato è considerato, a torto, un male minore oppure sarebbe troppo difficile mistificarne l’analisi. Credo invece che la qualità della vita e di riflesso quella di un “popolo” si manifesti anche e soprattutto dall’attenzione e la tutela verso il patrimonio comune che non riusciamo a conservare.
Altri pessimi segnali vengono dalla gestione fiscale e giudiziaria, indicatori di una nazione che scade con sempre maggiore frequenza nel grottesco dando una pessima immagine del Paese, anche e soprattutto fuori dei confini nazionali.
Si assiste a stupide vessazioni di Equitalia, forse legali ma assolutamente ridicole e assurde, lontane da qualsiasi senso di giustizia, a condanne di persone che hanno avuto solo il torto di difendersi in casa propria e costrette a risarcire i ladri feriti che trovano in Italia il terreno più favorevole.
Si pagano come veri e propri banchi, di nascosto naturalmente, riscatti per ostaggi e pescherecci sequestrati, si allungano indagini e processi per lustri e lustri senza giungere, il più delle volte, a qualcosa di concreto.
Se Danilo Restivo fosse stato in Italia? Sarebbe ancora in attesa di giudizio magari intervistato da tv e giornali che sborsano soldi a pioggia per servizi del genere. Invece la giustizia inglese, dopo un processo dal quale vengono tenute ben lontane le telecamere, emette, in tempi assai più brevi dei nostri, una condanna definitiva e di Restivo si sono perse le tracce.
Deve scontare la sua pena e basta, altro che salotti televisivi! Eppure nessuno può negare che si tratti di metodi democratici e garantisti, l’unica differenza è che la giustizia inglese, oltre che più pratica, segue un sistema che riduca al massimo la possibilità di sfuggire con metodi e mezzucci dei quali i nostri legulei sono esperti conoscitori.
Tutto quanto esposto (ma ci sarebbe dell’altro) per il cittadino serio e osservante può, secondo voi, apparire come una grossa presa di culo? Potrebbe, lo stesso cittadino vessato in mille modi insulsi dalle istituzioni, locali o centrali che siano, circondato da un palpabile avvilente degrado urbanistico e sociale, senza intravedere alcuna tutela per se stesso e la propria famiglia, convincersi che la crisi non sia passata, e che il peggio debba ancora venire?
Indicatori di questo tipo, evidenti e incontrovertibili, che male si prestano ad analisi edulcorate, ad equilibrismi o benevoli interpretazioni, non conducono di sicuro ad un futuro migliore.
Non basta essere ottimisti e far finta di non vedere per assicurarsi il domani, ma forse proprio l’aver paura del futuro potrebbe indurre tutti a una più accorta valutazione dei fatti.
Stefano Colli