PISTOIA. Ogni volta che varchiamo la soglia della Fondazione Tronci, abbiamo sempre l’impressione di trovarci in un altro mondo, o su un pianeta che non somiglia, nemmeno lontanamente, a quello nel quale viviamo.
In quelle due stanze di corso Gramsci a Pistoia trovano posto, non certo ordine, un’infinità di pezzi da museo del suono: novecento anni di storia appoggiati alle pareti, per farsi vedere, ammirare, anche toccare. Il custode, Luigi Tronci, è sempre disposto e disponibile a raccontare, a chiunque lo voglia sapere, la vita e la leggenda di ogni singolo strumento: è la sua vita, la vita di un artigiano che in città nessuno ha mai capito quanto sia importante, tanto che deve combattere, supportato da volontari, conoscenti, amici musicisti e qualche demagogo che deve indorarsi la strada per ottenere benefici, per riuscire a conservare quel posto incantato che è la sua, la nostra Fondazione Tronci.
Ogni tanto, in quelle due stanze che trasudano arte, storia, passione, conoscenza, studio e fantasia, Luigi e Damiano Tronci, padre e figlio, organizzano eventi. Come ieri sera, martedì 8 settembre. A surriscaldare l’atmosfera, in attesa degli strumentisti, ci ha pensato proprio lui, il padrone di casa, ricordando ai presenti che nei suoi ottanta anni di vita, di suoni, ma anche di cose, oltre che sentirli, ne ha viste parecchie. Si è protratto in un piccolo excursus, affascinando, da novellatore qual è e quale è sempre stato, la platea, che avrebbe voluto sentirgli raccontare altre storie, nonostante ai box si stessero mettendo in moto calibri di rara potenza.
I primi ad entrare però, sono state due ragazze: la nostra Valentina Bartoli all’Hammond, nostra perché di casa e la newyorkese Jospephine Cuevas, alla batteria, allieva prediletta e particolarmente stimata di Marvin Bugalu Smith, l’attrazione fatale della serata. Hanno eseguito, guardandosi continuamente negli occhi, qualche pezzo standards, con il terrore, decisamente tenuto sottotraccia, che qualcosa, nonostante le prove terminate poco prima di andare a mangiare un boccone, potesse andare storto. Poi, superati a pieni voti i tre esami in stretta sequenza, hanno ringraziato il pubblico per riconsegnato calore e hanno lasciato il palco agli altri tre bolidi: un giovanissimo, ma portentoso, Gabriele Evangelisti al contrabbasso, la quintessenza della profondità, i fiati di Nico Gori e lui, Bugalu, un personaggio oltre ogni ragionevole cinematografia.
Il cappello di paglia da vietnamita che portava, sovente, è stato da intralcio al ventaglio che improvvisamente ha aperto in più di una circostanza. Sentirlo parlare poi è stato semplicemente straordinario: chiunque ha avuto modo di ascoltare Back on the block, di Quincy Jones, non ha potuto fare a meno di accostare le due ugole, quella del batterista e quella del produttore statunitense, esaltabile, quest’ultima, nella preparazione di Birdland, quando via telefono si accorda con Charlie Parker per contattare e assoldare tutti gli strumentisti per l’esecuzione del brano.
Difficile stabilire quanto anni abbia; difficile credere, comunque, come recita wikipedia, che sia nato nel 1961. Senza età e senza tempo, il batterista, dopo i brevi e surreali show, si è messo a fare il proprio mestiere, suonando divinamente la batteria, supportato dall’acustica dei piatti Ufip, fabbricati proprio a poche centinaia di metri dall’alcova dell’esibizione e offerti, ad un pubblico che non sa, proprio in quelle stamberghe.
L’attrattiva della serata alla Fondazione Tronci era lui, Marvin Bugalu Smith, solo perché ci possiamo permettere il lusso di illuminare con meno clamore Nico Gori, che non ha più bisogno, ormai da molti anni, di alcun riflettore particolare, né di casse di risonanza. È tra i più preparati, poliedrici, raffinati, profondi e umili musicisti al mondo; non a caso, quando Stefano Bollani ha bisogno di volare, gli chiede puntualmente di salire in plancia e prendere i comandi di co-pilota. Citiamo Bollani prima di ogni altro, nonostante le numerosissime collaborazioni che il clarinettista e polistrumentista fiorentino, appena quarantenne, può vantare nella sua già luminosissima carriera, perché il pianoforte di Bollani è, senza ombra di dubbio, il primo pianoforte al mondo.