PISTOIA. Se la cantano e se la suonano tra di loro. Potremmo disinteressarcene per la solita strategia di non dare peso e visibilità a chi già ne ha avuta troppa. Il punto è che se sotto i riflettori costoro ci finiscono comunque, tanto vale toglierci tutti i sassolini che le nostre scarpe hanno immagazzinato.
Per completare il quadretto familiare, c’era bisogno della Kyenge (sarà scritto correttamente? Chissenefrega) a Vicofaro, intenta a lisciare don Biancalani e i suoi ospiti: i clandestini, anzi no, gli immigrati, anzi no, i migranti, anzi no, i turisti. Probabilmente la definizione più consona sarebbe “giovani facenti parte della generazione erasmus”, perché disse don Massimo in tivù che loro sono qui per imparare la lingua e per fare le cose che fanno tutti i loro coetanei.
Cazzeggiano, giocano a pallone, parlucchiano l’italiano, spacciano (ops!), imparano a coltivare la terra e a fare quant’altro. La Kyenge, anch’essa immigrata, anzi no, migrante, anzi no, turista, arrivò clandestinamente in Italia e oggi rivive l’ebbrezza della giovinezza e di queste scorribande tra un continente ed un altro tipiche di chi vuol sentirsi cittadino del mondo e non del proprio paese. Patria, la chiamavano una volta.
Ma questo è il racconto d’appendice del fanomeno migratorio, una sorta di libro cuore dell’immigrazione, dei buoni sentimenti e della filantropia d’accatto tanto in voga oggi. La realtà è un’altra, e ve la raccontiamo noi da anni: un’immigrazione massiccia e incontrollata come questa, che trapianta afro-islamici nell’Europa cristiana, ha come unico effetto certo quello di sfilacciare uno dei due capi della corda che viene tirata.
Aprite gli occhi e capirete chi, fra noi e loro (perché sappiate che tra noi e loro vi sono differenze enormi) è destinato a soccombere. Nella migliore delle ipotesi, sbarca in Italia, assieme agli africani, la sensibilità e il rispetto per i diritti umani tipico di quei luoghi: sostanzialmente zero, se paragonato al nostro. Sono portatori di un modo di vivere retrogrado e folle per i nostri standard, e l’aberrante omicidio di Pamela Mastropietro ne è la prova. Quella mafia nigeriana è stata importata pensando di fare il bene dei turisti di allora.
Nel caso peggiore, invece, coi barconi e le navi Ong arriva qualcosa che le autorità non posso combattere né fermare, e si chiama islam. Siccome l’Italia intera, ma anche la nostra Pistoia, è ricolma di sepolcri imbiancati, nessuno ha proferito parola dopo l’intervista che a fine agosto 2017 lo scrivente fece all’imam di questa città. Egli parlò serenamente di sottomissione della donna, di violenza contro i gay, di islamizzazione del paese, il tutto nel silenzio più totale della collettività che popola questa sorta di paesotto toscano.
È sufficiente analizzare la situazione nei paesi europei ove il numero di islamici è superiore al nostro: vi
sono intere sacche di territorio in cui la sharia è divenuta sostanzialmente la legge vigente, e le rivendicazione della comunità islamica aumentano sia di quantità che di qualità: essi pretendono il sovvertimento dell’ordine culturale e giuridico europeo.
Vi potremmo citare mille servizi girati in Inghilterra, in Svezia, in Francia, in Germania, in Belgio, numerosi studi sulla così detta natura intransigente e violenta dell’islam, pagine di storia che raccontano come gli eserciti islamici abbiano da sempre tentato di conquistare l’Europa, dichiarazione di ulema in cui viene messo per iscritto quello che è il loro fine: sottometterci.
Avrebbe poco senso, temiamo, perché o ognuno di noi avverte l’esigenza di tutelare la propria patria (con tutto ciò che si porta dietro) da una invasione pianificata a tavolino, scrollandosi di dosso il torpore del politicamente corretto e del buonismo, oppure queste rimarranno chiacchiere di contorno durante un aperitivo tra amici.
Mancherà, in definitiva, il coraggio di mandare a quel paese tutti questi soloni capaci di irretire con la loro arroganza un popolo che, ancora oggi, dovrebbe avere l’orgoglio di definirsi cristiano.
[Lorenzo Zuppini]