SERRAVALLE. La riforma della scuola del Governo Renzi già dall’anno in corso ha introdotto negli istituti scolastici italiani di ogni ordine e grado il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, che va a sostituire il vecchio Pof.
Tale strumento si presenta come “il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia”.
Il Piano assicura anche “l’attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013” (comma 16 dell’art. 1 della legge 107/2015).
Nonostante il Ministro Giannini sia intervenuto all’inizio dell’anno scolastico negando che nella legge sulla Buona Scuola vi siano aperture alla teoria gender, tuttavia i riferimenti normativi ci fanno pensare totalmente il contrario.
Infatti i testi si richiamano sostanzialmente alla Convenzione di Istanbul, attuata di fatto dalla legge 119, e al Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, previsto nella medesima legge e approvato a maggio 2015, nei quali è possibile ravvisare che con il termine «genere» non si indica il dato oggettivo del sesso biologico, ma ci si riferisce a stereotipi e a ruoli culturalmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini e che occorre abbattere e superare in nome del soggettivo orientamento sessuale.
Si prospetta quindi nelle scuole il reale pericolo della pianificazione di attività educative e didattiche che in modo più o meno manifesto veicolino la teoria gender alle nuove generazioni.
Le amministrazioni locali – come quella di Serravalle Pistoiese – se ne lavano le mani, dichiarandosi estranee a ciò che accade all’interno delle istituzioni scolastiche, dove la responsabilità ricadrebbe solo sui dirigenti e sui docenti (vedi respingimento della mozione presentata dalla sottoscritta contro la diffusione della teoria gender nelle scuole del territorio comunale); in realtà esse sono tacitamente conniventi con questo tipo di indottrinamento, perché partecipano a progetti provinciali finanziati dalle Regioni.
Basti pensare che la Regione Toscana, per l’anno scolastico 2016/17, ha destinato la somma sconsiderata di 500mila euro alle province (50mila euro a ciascuna) per la “attuazione di azioni di sensibilizzazione/formazione nelle scuole toscane per la lotta agli stereotipi di genere e alla equa distribuzione del lavoro di cura all’interno della famiglia, anche in prosecuzione con quelle finora realizzate” (Dgrt n. 1077/2015); soldi pubblici che sarebbero stati di sicuro più proficuamente impiegati per aiutare le scuole, spesso in difficoltà economiche, a organizzare appropriati corsi di recupero per gli alunni bisognosi di supporto didattico.
Richiamando ancora una volta le amministrazioni comunali al loro ruolo e alle loro responsabilità, raccomandiamo poi ai genitori di vagliare attentamente le attività programmate dal Ptof e, in qualità di primi educatori dei propri figli, di ricercare una efficace sinergia con le dirigenze scolastiche e i docenti al fine di essere informati sui percorsi didattici attivati nelle scuole, facendo valere anche il diritto e il dovere di dissentire dalle linee pedagogico-educative proposte, quando queste non risultano conformi ai principi dell’educazione perseguita all’interno del proprio ambito familiare.
Elena Bardelli
Fdi-An Serravalle Pistoiese