«LA FAMIGLIA BÉLIER», UNA COME POCHE

La locandina
La locandina

IN FRANCIA ha spopolato. Di qua dalle Alpi, se solo venisse reclamizzato come uno dei tanti commoventi e tragici cinepattone e non venisse proiettato solo nei cinema alternativi, quelli d’essai (lo abbiamo visto al Roma, di via Laudesi), probabilmente, l’effetto successo sarebbe lo stesso, siamo pronti a scommetterci, perché La famiglia Bélier, diretto dal francese Eric Lartigau, è oggettivamente una commedia perfetta, nella quale si fondono, abilmente contemplati, il sacro e il profano, la tenerezza e la simpatia, su uno sfondo semplice, atemporale e arricchito dalla bravura dei protagonisti.

Una storia sulla disabilità senza tratti caritatevoli, dove Louane Emera (Paula Bélier) 16 anni, è l’unica normodotata della famiglia: il papà (Francois Damiens), la mamma (Karin Viard) e il fratellino (Marcd Sodupe) sono sordomuti e sono le traduzioni simultanee di Paula a tenere l’intera famiglia legata con il mondo esterno. Hanno una fattoria, i Bélier, in Normandia e la protagonista, nel bel mezzo della carriera studentesca, scopre, tra gli studi liceali, la cura delle bestie della fattoria e il mercato domenicale dove vende i prodotti genuini della famiglia, grazie al suo professore di musica (Erci Emosnino), di avere una voce straordinaria.

La pellicola non è che un altro contributo allo scontro generazionale della famiglia con i propri pargoli, soprattutto con quelli che decidono di mollare tutto e tutti per tentare di asfaltarsi la propria strada. Ma è originalissimo, calibrato, dove si ride e si piange con felicità, soprattutto perché alla fine, Paula, a seguire il proprio destino, ci riuscirà perfettamente, ma senza strappare nulla alla deontologia e alla correttezza e senza strapparsi dalla propria terra, dalle proprie origini, dai suoi cari, anche se non rinuncerà a volare verso Parigi, dove l’aspetta il Conservatorio. Un lungometraggio gradevolissimo, dove il regista non cede mai ad alcuna tentazione: non offre il fianco al buonismo e al politicamente corretto, non fa dell’antiglobalizzazione la terra della sua trama e non cade mai nel tranello di poter trasformare la delicata sagoma adolescenziale della protagonista in una furia di erotismo.

Resta tutto sospeso e mai dato in pasto all’immaginazione: quello che vuol dire, Eric Lartigau, è esattamente quello che si vede e che, ironia della sorte, si sente.

Print Friendly, PDF & Email