“LA FAMIGLIA CAMPIONE” È QUELLA DEGLI OMINI

Gli Omini, La famiglia Campione
Gli Omini, La famiglia Campione

PISTOIA. Non è proprio un prototipo ideale, La famiglia Campione, ma in giro, in Toscana, come altrove, del resto, se ne trovano. Basta girare un po’, ma non da turisti sprovveduti e stare attenti, ascoltare, indagare, interrogare, registrare, prendere appunti e poi elaborare tutti i dati pazientemente raccolti.

Basta fare come fanno Gli Omini, tanto per esser chiari e sintetici e scendere nel dettaglio artistico, potendo però poi affidare il tutto alla loro piccola, grande vis tragicomica, che è quella che sta preparando ai quattro ragazzi con le idee chiarissime i fogli per i rispettivi passaporti dello spettacolo. Lo slang è quello di casa, verissimo, ma la sola fortuna specifica del lessico granducale è che è più facilmente trasportabile, sdoganabile, senza sottotitoli, senza interpreti, intermediari, traduttori. E poi, con quelle smorfie!

Ve lo raccontiamo e sottoscriviamo, con un margine di rischio di venir contraddetti ridottissimo, solo dopo averli visti all’opera, ieri sera, martedì 9 giugno, nella Sala delle Carrozze di Villa di Scornio, a Pistoia, primo appuntamento della nuova edizione di Teatri di Confine (si replica stasera, sempre alle 21:30), costola estiva della stagione dell’Associazione teatrale pistoiese, Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca e Giulia Zucchini, che sono Gli Omini all’anagrafe, nella loro ultima ideazione teatrale, La famiglia Campione, un agglomerato domestico dove vivono e convivono due anziani nonni, una figlia, i suoi due mariti e i loro cinque figli.

Bianca, però, la casella enigmistica da riempire, non si vede, né si sente, se non prima dell’epilogo. È chiusa nel bagno e a turno, quando la mamma, il nonno, i fratelli, cercano in qualche modo di dissuaderla, invitandola ad uscire. Gli altri sì, però e sono su una giostra dalla quale scendono e salgono ripetutamente, entrando e uscendo nell’unica sala, spoglia, dove si consumano i dialoghi, le riflessioni, le preghiere, le raccomandazioni, i tic, le imprecazioni sussurrate, le maledizioni urlate, le conversazioni triangolari, illogiche, ma possibili.

Il sito della rappresentazione, diverso dal palco della Pergola, a Firenze, dove il mese scorso hanno nuovamente raccolto bordate di congratulazioni, è veramente ideale, anche se non proprio funzionale, povero come le loro rassegnate constatazioni: è quello della Sala delle Carrozze, della Villa di Scornio, dove nella passata edizione di Teatri di Confine Renata Palminiello allestì una coinvolgente performance, animata da uno stuolo di giovani e promettenti attori.

Gli Omini invece puntano diritto sulla magìa della deambulazione, incerta e curva, quando indossano i panni dei vecchi nonni; tristemente povera, seppur ammiccante alla dignità di un fallimento all’epoca impreventivabile e semplice, ma austera, quando c’è da ricordarsi come fare per arrivare, possibilmente sani e sazi, quanto basta, fino a cena.

O sulla masticazione: aggressiva e screanzata, quando sono i più giovani ad addentare le mele, unica cibaria della famiglia, commovente e scomposta, quando a nutrirsi del frutto è l’anziana nonna. Ma sono sempre loro, Gli Omini, improvvisi e camaleontici, ai quali basta uscire dalla porta posta sul lato, togliersi il gilè smanicato per indossare una semplice t-shirts e fare poco dopo rientro, per immolarsi sull’altare, ateo, della recitazione.

Gli Omini, La famiglia Campione 6
Gli Omini, La famiglia Campione

Si ride di gusto, comunque, perché è il non-senso a guidare l’architettura delle conversazioni che tornano tutte al punto di partenza, pardon, di arrivo, a mettere in risalto le commoventi rivendicazioni generazionali, incapaci di saldare il debito delle frustrazioni sofferte prima dai genitori e ancor prima dai nonni.

Si ride di gusto perché è l’unico modo per come sfuggire alla drammaticità di una sentenza già scritta e che non contempla alcun colpo di scena in grado di ribaltare le sorti e riabilitare le vittime, che sono costrette a sbranarsi l’un con l’altra per rimandare al più tardi possibile la propria personale infausta e inderogabile sentenza.

Si ride di gusto anche perché, inconsapevolmente, buona parte del pubblico arriva tatuata di rigore da ricami incomprensibili e senza senso alcuno nelle parti strategicamente imposte dalla moda che tiene al guinzaglio quelle orde di stolti che temono, perché perfettamente consapevoli, che terminata la stagione delle passerelle, la cute inizierà inesorabilmente a perdere qualche strato di fascino, eleganza e elasticità e senza il calore delle estati che segneranno il passo alle stagioni meno torride la vita potrebbe improvvisamente riservare strani epiloghi e far trovare buona parte di questi a bussare alla porta della Famiglia campione.

Sullo sfondo degli esordi e degli incipit dell’ingegnoso quadrumvirato, le gags surreali e anglosassoni lanciate negli anni 80 dai Giancattivi, qualche lecito furtarello ai più recenti personaggi guzzantiani e tutta la biochimica predisposizione, questa parecchio e quasi unicamente toscana, per la stesura delle lettere semiserie da lasciare scritte ai posteri, impreziosita da un capillare e tassonomico studio sulle usanze, le schizofrenie e le interrelazioni che agitano e tengono in piedi, fino allinevitabile condanna a morte, i rapporti umani.

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