la lettera. IL PARROCO DI VICOFARO E LA GITA IN PISCINA

Il post rilanciato anche da Salvini

PISTOIA. Dopo dieci giorni di assenza dalla città, torniamo ieri a Pistoia e ci dedichiamo alla lettura delle notizie locali che ci eravamo persi nei giorni di ferie. Apprendiamo così delle polemiche sorte negli ultimi giorni attorno al parroco di Vicofaro, una parrocchia cittadina: questo parroco, titolare di uno dei più recenti progetti di accoglienza profughi e richiedenti asilo territoriali che fanno capo alla locale Prefettura, ha pubblicato su facebook le fotografie di alcuni beneficiari del sopra ricordato progetto di accoglienza mentre si trovavano in piscina; la ‘gita in piscina’ sarebbe stata una sorta di premio perché i giovani beneficiari avrebbero svolto alcune attività di volontariato. L’evento ha fatto scalpore a livello nazionale, scatenando una sequenza infinita di accuse e offese razziste comparse sulle varie reti sociali e – a seguire – un coro di solidarietà da parte di singoli, enti e associazioni.

Se le pesanti offese a sfondo razzista ci hanno preoccupato e indignato, ci siamo tuttavia molto meravigliati delle tante manifestazioni di solidarietà, provenienti anche da ambienti della varia sinistra locale e nazionale.

Da decenni ci occupiamo di studiare e analizzare i fenomeni migratori, oltre che della gestione dei fenomeni migratori come nostra professione, e da tempo segnaliamo il pericolo insito nell’affidare a soggetti inesperti e impreparati i progetti di accoglienza dei profughi e richiedenti asilo. Sopratutto in un periodo in cui il conflitto sociale con gli italiani e i ‘vecchi’ migranti degli anni Novanta sta sempre più covando sotto la cenere

Un sacerdote che si comporta con i beneficiari come se gestisse un gruppo di ragazzi in un centro educativo, premiandoli con un gioco più bello se svolgono i compiti con diligenza, dimostra di non aver compreso che i progetti d’accoglienza profughi e richiedenti asilo interessano dei beneficiari adulti i quali necessitano di essere messi in grado quanto prima di apprendere la lingua del paese di accoglienza – e per questo ci vogliono insegnanti qualificati e giustamente remunerati – e di essere avviati al più presto verso percorsi di autosufficienza sociale e lavorativa – e per questo ci vogliono operatori di integrazione opportunamente qualificati.

Pubblicando le loro fotografie su una rete sociale accessibile a tutti, il sacerdote dimostra poi di non credere neppure lui stesso al progetto nel quale sta lavorando e per il quale viene retribuito: l’accoglienza di soggetti potenzialmente titolari di un diritto di protezione, che potrebbero essere stati vittime di atti di violenza oppure di persecuzione politica e in quanto tali dovrebbero essere protetti quanto più possibile da ogni possibilità di venire individuati da terzi, sia come immagine che come collocazione abitativa. Trattando la questione con questa leggerezza potrebbe aver addirittura messo in pericolo qualcuno di loro, a meno di non pensare che lui stesso li consideri semplici migranti economici che, per un caso fortuito, si trovano a trascorrere un non meglio definito periodo di soggiorno in Italia.

L’accoglienza a profughi e richiedenti asilo non si risolve in un mero accudimento, più o meno gradevole. Si tratta di lavorare nei limiti di precise normative internazionali e nazionali, con soggetti a rischio, spesso provenienti da storie personali di degrado e persecuzione, che vengono inseriti in società già pesantemente colpite da fenomeni di diseguaglianza interna e dunque particolarmente vulnerabili di fronte a propagande populiste e razziste volte a fomentare le guerre fra poveri: la gestione di questi fenomeni non può risolversi con buonismo e improvvisazione, bensì con una pluralità di professionisti, nell’ottica dell’emancipazione degli individui. Del resto nessuno di noi troverebbe normale, per esempio, affidare un’operazione chirurgica a un sarto oppure la costruzione di un ponte a un fornaio. Se lo facessimo, dovremmo aspettarci senza dubbio qualche danno.

Ed ecco infatti i gravi danni che, a nostro parere, seguono alle azioni poco prudenti del sacerdote di Vicofaro. Danni a tutti i soggetti gestori preparati e competenti che, con grandi sforzi e professionalità, cercano di lavorare nel settore dell’accoglienza profughi e richiedenti asilo in ogni parte d’Italia: la loro credibilità è messa a rischio da chi invece non lavora con la stessa accortezza, perché le persone tendono a far di tutta l’erba un fascio. Danni alle politiche stesse di accoglienza, che faticosamente vengono portate avanti dagli Stati sebbene ogni realtà locale pulluli di soggetti populisti e aggressivi che attendono come manna dal cielo certi ‘scivoloni’, per cavalcarli e utilizzarli come dimostrazione del fallimento di tali politiche. Danni infine agli stessi soggetti beneficiari – richiedenti asilo che richiedono una specifica protezione e non semplici migranti – che a causa di eventi come questo vengono sempre più visti come una sorta di ‘vacanzieri dell’accoglienza’ che distraggono risorse ­ai ‘veri’ bisognosi di tutela, invece che come soggetti di diritto che le nostre norme internazionali e nazionali, in primis l’art. 10 della Costituzione repubblicana, ci impegnano e ci impongono di accogliere, proteggere e accompagnare verso percorsi di riautonomizzazione.

Per questi motivi stigmatizziamo come spregevoli le offese razziste al parroco, ma ribadiamo anche l’importanza di vigilare affinché i vari soggetti titolari dei progetti di accoglienza agiscano nel rispetto delle norme che la regolano, con l’obiettivo prioritario non di ‘fare del bene’ (azione pur meritoria ma da investire in altri settori) ma piuttosto con quello di ‘fare bene’, che è cosa molto diversa e senz’altro più utile per la società tutta.

Pistoia, 25 agosto 2017

Barbara Beneforti e Roberto Niccolai

Scusate ma da quel che leggo mi risulterebbe che don Massimo sarebbe affiancato dal vicario del Vescovo Tardelli e non sostituito.

Penso, spero, ci sia da leggere la cosa come un rafforzativo del comunicato della diocesi e che va nella direzione indicata anche da Antonio Vermigli il quale giustamente vedeva di miglior utilità la presenza dello stesso Mons. Tardelli

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