UN TITOLO a effetto per un libro di storia della mafia ma non solo, “La mafia come metodo” di Nicola Tranfaglia edito da Mondadori Università.
Un’analisi a tutto campo da parte dell’autore di un fenomeno sociale nostrano oggi di rilievo internazionale, dalla protomafia siciliana quale onorata società a quella originatasi con l’Unità d’Italia, crescendo per dimensioni ed importanza di spessore criminale tra la seconda metà dell’800 ed i primi due decenni del 900 nei grandi possedimenti agrari e nelle aree industriali come le zolfatare, con cosche che si avvalgono dei metodi dell’intimidazione, del ricatto, della violenza privata, finendo con l’attentato e l’omicidio.
Quindi la mafia nell’Italia del regime fascista, con il fallimento conclusivo delle operazioni repressive da parte del prefetto Mori in Sicilia che si intrecciano con le lotte interne di potere tra le correnti fasciste dell’isola.
Non solo Cosa Nostra in questo libro, dal Dopoguerra in poi infatti l’opera inizia ad analizzare le varie mafie italiane, ovvero anche la Camorra in Campania, la Sacra Corona Unita in Puglia, la ’Ndrangheta in Calabria.
Durante la Repubblica, in particolare dopo gli anni 60, da un carattere regionale assumono dimensioni nazionali, con un incontro più strutturato tra i cosiddetti uomini d’onore, politica ed imprenditoria. Come dimostrano i lavori, riportati nel volume, delle varie Commissioni parlamentari, dal 1972 con l’istituzione della prima assise presieduta dall’onorevole Cattanei e poi Carraro (1976), Chinnini e Mannino (1982), Violante (1993).
Nella parte finale il volume spiega con la crisi del sistema politico repubblicano, la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni ed il crescente divario tra Nord e Sud con l’accentuarsi della crisi, le mafie divengono più forti accrescendo a dismisura la mole dei loro interessi economici, fino a divenire la prima impresa italiana seppur in forma occulta.