
AGLIANA. La parrucca che indossa in scena ricorda, terribilmente, la capigliatura di Pippi calzelunghe, perché non è da escludere che da bambina, qualcuno, l’abbia avvicinata a quella spavalda bambina olandese protagonista dell’indimenticabile personaggio televisivo. Ambra Angiolini però, nel frattempo, è cresciuta e lo ha fatto con quell’inconsapevolezza che aiuta ad affrontare meglio la vita. E il palcoscenico. Altrimenti, ottanta minuti, quelli offertile dal teatro Moderno di Agliana, ieri sera, da sola, in compagnia di un pubblico che ha capito e condiviso le sue paure e le sue speranze, non ci sarebbe potuta stare.
Si è raccontata, Ambra Angiolini, anche se la storia, La misteriosa scomparsa di W, porta la firma di Stefano Benni, abile cantastorie di fatti realmente accadibili e accaduti con il piglio di chi è riuscito a salvarsi. Anche lei, si è salvata, soprattutto dai suoi esordi televisivi-adolescenziali, benedetti, visto dove le hanno consentito di arrivare: è stata al gioco, come V, alla ricerca della metà perduta, ma come ha potuto è scappata via, dalla guerra, dalle bombe, dalle illusioni, dai lustrini e dai riflettori accesi per caso, provando a stabilire un contatto vero, reale, artistico con la propria esistenza.
Ha privilegiato la vita privata, un amore che prosegue con le difficoltà di ogni altro innamorato e due figli. E si è messa a studiare. Se ne sono accorti registi e produttori, quelli che non si sono accontentati di vederla saltabeccare sul piccolo schermo, ma hanno voluto darle altre opportunità. Sfruttate in pieno. Ha un fisico abituato a sorreggersi sospeso sul filo della vita e nonostante i pericoli, mentre cammina sul precipizio senza rete, invece che guardare in fondo, l’abisso e spaventarsi, balla, fa i versacci e recita. Con piglio, professionalità, immersione totale, chiedendo al pubblico di salire virtualmente sul palco per non farla sentire sola, altrimenti, il gioco dei clowns, finisce e con questi muore il teatro, lo spettacolo.
Anche ieri sera, ad Agliana, nessuno del Moderno, pieno pieno di signore e signori, è restato sulla propria poltrona: ognuno ha voluto partecipare alla sua commozione, dandole una pacca sulla spalla, ringraziandola, facendole i migliori auguri. Perché a parte la parrucca rossa con quattro pomi, Ambra Angiolini (potremmo limitarci a chiamarla Ambra, ma con il solo nome ci si riferisce ad un’altra persona, consapevole, fiera, ma passata) si è presentata scalza, con un vestitino bianco sotto le ginocchia, elegantemente stretto tra le cosce ogni qualvolta avrebbe potuto dare adito e viste particolari, su un palco scenografato di apparente povertà, che rappresenta in realtà il paradiso, bianco e senza orpelli, fili, se non un termosifone per stendere asciugamani e slip che diventa un separé e qualche neon parecchio luminoso, ma piacevole, che emana luce e calore, serenità e pace.
Dal reparto di maternità al reparto di maternità, V ricorda i racconti – che la mamma le ha fatto – e racconta – ai suoi figli – quello che la vita le ha dato l’opportunità di vedere. Tra l’incipit e l’epilogo, un treno alticcio e senza binari, pieno di energia, smorfie, modulazioni timbriche, con un diaframma che parrebbe essersi allenato alla scuola di Demetrio Stratos (ma anche essere la compagna di un cantante, Francesco Renga, qualcosa vorrà pure dire), che corre comunque diritto verso l’unica stazione possibile ed immaginabile: la fine, il tramonto, signore e signori, buonanotte, con la certezza, mista a minacce, che nessun dorma, perché nessuno è innocente e siamo tutti colpevoli. Ma non dei bambini che muoiono di fame in Ruanda, ma di quelli che ci sono vicini, il prossimo quotidiano, che possiamo incontrare ovunque, solo se abbiamo voglia di guardare, vedere. Registrare.
Conosce le pause e i ritmi frenetici, Ambra Angiolini: quando si ferma mette i piedi l’uno perpendicolare all’altro, come insegnano nelle scuole di danza; quando riparte scatta veloce, come quella gazzella che non sa se di incontrerà il leone. Di sicuro, correrà. Più veloce che potrà.