«LA SPOSA PARACADUTE» IN PRIMA ASSOLUTA

La sposa paracadute. 1
La sposa paracadute. 1

PISTOIA. Va in scena in prima assoluta, il 23 e 24 gennaio, al Funaro di Pistoia – sede della residenza artistica del lavoro, qui anche in veste di produttore – La sposa paracadute, di Francesca Giaconi (fra le fondatrici del Funaro), con Arianna Marano (interprete storica del Teatro de los Sentidos di Enrique Vargas), ed Eleonora Spezi (collaboratrice artistica dei praghesi Fratelli Forman, di Obludarium) che firma anche scene e costumi. Tre diversi percorsi accomunati da una forte propensione all’artigianalità “vecchia maniera” della macchina teatrale.

In questa storia, come in molte storie, tutto parte dalle radici. Il tentativo di ricostruire la morfologia genealogica ed affettiva delle proprie, porta a percorrere anche cammini altrui. Le impronte si confondono e il viaggio diventa collettivo e più emozionante. Questo è ciò che è accaduto per La sposa paracadute. Il desiderio di comporre il puzzle della propria storia familiare, della regista e autrice Francesca Giaconi, si è intersecato con le suggestioni artistiche di Arianna Marano ed Eleonora Spezi e con le storie delle donne italiane intervistate, nella lunga fase di ricerca che ha preceduto la creazione.

La sposa paracadute. 2
La sposa paracadute. 2

I paesaggi che andavano delineandosi con questo incedere collettivo, sono così diventati tanti e diversi e a fare da raccordo sono stati i fili di una stoffa speciale: quella di un abito da sposa, nello spettacolo anche protagonista assoluto della scena, in versione gigante, dal quale si erge Arianna Marano. L’abito bianco  –  simbolo significativo della vita della donna, nell’Italia degli anni ‘40 e ‘50 – è quello, ad esempio, di una signora siciliana, nato, come tutto il corredo matrimoniale, dal taglio e cucito di un paracadute americano ritrovato durante la II guerra mondiale.

Una donna toscana, ad una diversa latitudine, trovandone un altro, strappato, su un albero della Foresta del Teso (sulla montagna pistoiese), ne ricava sottovesti e camicie da notte. Usanza diffusa in tutta la penisola, in quel periodo quindi, che la povertà aveva reso creativo e fertile dal punto di vista artigianale. Le storie narrate non finiscono sempre con un matrimonio né raccontano unicamente di amori: c’è ad esempio quella di una ligure che si innamora di un unico sorriso, visto una volta, poi perso per tanti anni e ritrovato alla fine della guerra, al ritorno dall’Africa, a piedi, di Luigi, la bocca di quel sorriso o quella di Nicoletta e il suo amore nato su una corriera o quella di Maria che ricorda che teneva per mano tutti quelli intorno a lei, amici, parenti, vicini di casa, quando si sentiva cadere una bomba e si contava fino a 10 (il tempo necessario per lo scoppio), per scoprirsi vivi o morti, alla fine di quello straziante e quotidiano rituale.

La sposa paracadute. 3
La sposa paracadute. 3

Tante storie vere, tanti abiti e sullo sfondo il conflitto armato: ricordi, risate, lettere, che germogliano dalle macerie e prendono forma nella gonna del vestito in scena, in un caleidoscopico gioco di ombre, come una lanterna magica della memoria.

La quotidianità, le piccole grandi abitudini, ancora di salvezza o talvolta prigione della vita di ciascuno vincono anche la guerra, sono l’antidoto alle brutture del conflitto, sembra dire lo spettacolo. Il senso dell’indagine è espresso bene, secondo la regista e autrice, dalle parole del famoso entomologo francese Jean Henri Fabre: “La storia celebra i campi di battaglia nei quali l’uomo ha incontrato la morte, ma disdegna di parlare dei campi coltivati che sono alla base della sua prosperità; la storia ci annuncia i nomi dei bastardi dei Re, ma non sa raccontarci l’origine del grano. Questo è il senso dell’umana follia”.

[sirianni – il funaro]

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