PISTOIA. Massimiliano Filippelli ci invia le sue riflessioni sulla Liberazione di Pistoia.
Ecco che esco dalla Stazione, e vedo dei tavoli già sistemati con tovaglie rosse, davanti alla vecchia, “eroica sede” del partito Rifondazione comunista, nome altisonante nei tempi odierni.
Vedo delle transenne che limitano il transitare delle vetture, pedoni dall’altra parte, e poi il cartello che mi ricorda la data storica dell’armistizio e liberazione di Pistoia.
Ho un misto di sentimenti che si agitano, da un lato sorpresa partecipazione e commozione, quasi vorrei stringere un lembo di quel tessuto che ricopre i tavoli per toccare nel tempo la mano di quelli che lottarono lasciando la vita per la Libertà, unirmi a quei ragazzi che candidamente stanno preparando, poi vedo i soliti volti, sento una rabbia che sale che a stento trattengo, ma è quella impotenza verso la storia per come è andata in tutti questi anni, dunque velleitaria, immedicabile qualcosa che non è possibile razionalizzare, e davanti la mia condizione storica, fisica.
Quella data segnò uno spartiacque profondo; chi era un fanatico in orbace lo diventò ancora di più, chi credeva nel verbo fascista lo divenne ancora di più, molti passarono dall’altra parte.
Lo scontro fra “l’umano e il non umano, fra uomini e no” divenne più radicale che mai (nascita della Rsi, brigate nere, Pavolini ecc) per arrivare alla sanguinosa guerra di liberazione in cui le varie formazioni partigiane dettero il loro contributo!
Tutti quei combattenti che hanno sacrificato la loro vita per un paese libero, dove la giustizia avrebbe sempre trionfato, segnarono un solco di non ritorno nella storia di una nazione in cui il tallone di ferro della dittatura aveva annientato ogni diritto.
Penso ai vari comandanti delle formazioni, mi viene in mente il nome “Lupo” della stella rossa (Marzabotto) e con lui tanti che hanno poi scelto i boschi dalle file dell’esercito smarrito, i tanti partigiani “Johnny”, i dissidenti politici uccisi (i Fratelli Rosselli, G. Matteotti, Gramsci…) insomma in una parola La Resistenza, penso al frate dei Servi di Maria, poeta e sacerdote D M Turoldo e alla sua poesia “Torniamo ai giorni del rischio, quando tu salutavi a sera senza essere certo mai di rivedere l’amico al mattino. E i passi della ronda nazista dal selciato facevano eco dentro il cervello, nel nero silenzio della notte”.
Sì, la Resistenza e la liberazione siano conficcati nel cuore come un passaggio indelebile della memoria storica, non sbiaditi, non opacizzati né ridimensionati perché da quelle macerie è sorta la Repubblica.
Ma quel tempo non diventi una stella alpina essicata dentro un ingiallito libro che ogni tanto viene aperto, non diventi retorica che nasconde le contraddizioni di un partito che idealmente ne segue il testimone, ma in modo pragmatico ed esistenziale ne tradisce l’anima.
Scusate il quesito forse ingenuo e inutile, ma cosa direbbero oggi i combattenti della nostra liberazione, i vari Pippo, Lupo, Pedro, Pier Luigi delle Stelle ecc davanti ad un paese libero formalmente ma sostanzialmente prono alle direttive europee, schiavo dei dogmi del libero mercato, con dei partiti ridotti a ruine meste che non hanno più il volano del potere perché l’economia è la sola padrona?
Massimiliano Filippelli